La poesia del tempo è una traccia imperfetta, resti di anima ancorata ai sogni, è un dipinto annebbiato della mente, è una scultura di neve sciolta, è linfa di vita che non muore
martedì 26 aprile 2016
sabato 23 aprile 2016
Peccatores mundi
«E
mi dica, carissima fedele, quando è stata l’ultima volta che ha fatto l’amore
con suo marito?» chiedeva sempre Don Serafino alla signora che lo sbirciava
vergognosa dalla grata del confessionale. Quella domanda era ormai un rito,
come il sorso di vino dal calice benedetto: tutte le donne sposate del piccolo
paese di provincia sapevano a cosa andavano incontro quando decidevano di
concedere gli angoli bui della propria coscienza a quel sacerdote austero,
impeccabile nelle omelie, paterno nell’ascolto, ma ossessivo negli
interrogativi. A certe domande alcune tacevano, recitavano frettolosamente un
atto di dolore e poi fuggivano da quello spazio claustrofobico, buio e
inquisitorio senza essere mondate dei propri peccati, altre rispondevano,
confessavano semplicemente la verità e aspettavano la tanto desiderata
assoluzione: «Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris, et Filii, et
Spiritus Sancti. Amen». Dopo una giornata faticosa dedicata alla
celebrazione della Messa e all’ascolto attento dei peccatores mundi
, don Serafino se ne tornava soddisfatto a casa dove l’attendeva una cena
squisita preparata da Mariuccia la sorella ormai anziana sulla settantina, di
circa cinque anni più grande di lui. La loro convivenza andava avanti ormai da
venti anni dopo che la donna, rimasta vedova e senza figli, aveva deciso di
prendersi cura di quel fratello esemplare, grande saggio ai suoi occhi,
dispensatore di verità indiscutibili alle sue orecchie. Ogni sera leggevano
insieme un passo della Bibbia e Maria si faceva spiegare dettagliatamente il
significato delle sacre parole pronta ad aderire con tutto il cuore alla
missione della sua vita per avere un posto in paradiso, certa che, con la
vicinanza di un fratello di quel calibro, avrebbe superato ogni difficoltà e
tutte le prove demoniache dell’esistenza.
Vincenza
Fava dal racconto Peccatores mundi
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