Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

giovedì 29 dicembre 2011

Cara Italia

Sta arrivando il tanto temuto 2012 fra attese apocalittiche e speranze senza nome, e mi chiedo: come mai si dà sempre un nome a ipotetiche quanto inverosimili magiche disgrazie (come se si invocasse una ambigua distruzione globale per purificarsi dalle colpe dei padri, per non vedere i risultati quanto poco entusiasmanti ed edificanti ottenuti dall'uomo nei secoli dei secoli) e mai un nome certo alla progettualità dell'azione futura? Anche se il domani è incerto e la sua esatta verificabilità impossibile perché sottoposta a eventuali varianti non sempre prevedibili, perché non accertarsi di compiere e realizzare progetti stesi su carta, ma poi riposti a stagnare per anni in un cassetto? Vedo stanchezza e confusione,  ambizione e frustrazione, schiavitù e servilismo, potere di pochi eletti e plebe sfrattata dei propri diritti. Non possiamo essere orgogliosi, no ... perché l'orgoglio di un popolo è accompagnato dalla dignità e quella l'abbiamo persa già da troppo tempo, ai nostri occhi e agli occhi del mondo. In quale futuro sperare se i giovani hanno poco prospettive di lavoro, se molti giovani hanno ormai perso il significato di lavoro, anche manuale ormai sostituito dagli immigrati? E a forza e a rabbia ci scontriamo continuamente coi pregiudizi di chi viene a rubarci il lavoro, senza renderci conto che quel lavoro non lo vogliamo, perché ci sporchiamo le mani e i vestiti, perché non ci potrà permettere di comprare un i-phone per Natale, perché non è più dignitoso e redditizio lavorare il legno, il ferro, la terra e riparare scarpe alla moda. E' vero non è più redditizio e l'euro ci ha sottoposto al controllo delle banche europee, perché siamo sudditi dell'europeizzazione e anche della globalizzazione, perché siamo figli di padri che hanno pensato esclusivamente al proprio arricchimento nella depauperizzazione prolungata ed eccessiva a spese del gregge. Sì, gli italiani ... un popolo, un gregge che spalanca la bocca davanti al televisore e beve parole ingessate e sorrisi di cartapesta, che beve il suo bicchiere di vino e mangia il suo bel piatto di pizza il sabato sera inneggiando al divertimento muto di cose da fare perché si devono fare, perché non c'è più scampo alla libera scelta, tutti siamo tutti in un eccessivo e sfiancante individualismo che trova nel piacere effimero la sua più completa realizzazione. Essere tutti ed essere nessuno, perché manca la concezione dell'insieme, di idee e progetti da condividere. Perché la noia ci annienta, il mancato senso di appartenenza ad un gruppo che non dovrebbe credere perché deve credere, ma perché vuole credere per cambiare le cose. E così, tutti essendo nessuno, siamo sempre più soli, emarginati gli uni dagli altri, ci guardiamo in cagnesco per paura di essere fregati e poi andiamo a cena insieme brindando all'amicizia. Cara Italia, sono tua figlia, ma ormai sono e mi sento figlia del mondo perché Tu non mi hai dato la sicurezza del futuro, perché mi hai sbattuto in faccia l'arrivismo e l'egoismo degli eletti, perché escludi le parole vere dai dibattiti, perché basta un vestito, una cravatta ed un cartellino sul taschino per sentirsi intelligenti e padroni del mondo. E io mi rifiuto, sarò e resterò un nulla per Te, ma mi basta il mio nulla per trovare il mio Tutto, il mio e di chi non ha voce nel mondo dei superdotati.

Vincenza Fava

lunedì 26 dicembre 2011

La notte

Copriti
fa freddo.
In questa lunga notte
appena iniziata
in dolci e amare
insonnie,
profughe e continue
processioni di deserti
nel delitto dell'esistenza.
Abbiamo lunghi capelli
per proteggere il volto
dal rimpianto.
Bevi con me,
hai sete.
Mangia con me,
hai fame.
In questo cielo scuro
le stelle si nascondono,
ma continuano a brillare.
Lassù qualcuno canta,
lassù qualcuno spera per noi.
Abbracciami,
abbiamo bisogno di sentirci.
Sono qui,
dove sono sempre stata
ad ascoltare il canto
della luna
per morire di nude parole
tra le tue braccia.

Vincenza Fava

domenica 18 dicembre 2011

Wolf

Di giorno e di notte, Wolf cantava, non aspettava la luna piena, ogni istante era colmo di infinite possibilità ed amava coglierle una ad una, non aspettava la notte, non aspettava la neve, non aspettava che arrivasse il mare dal fiume ... lui andava al mare per sorreggersi nelle onde d'avorio che guardavano l'orizzonte. Ed era lì che fissando il volto delle nuvole, poteva far arrivare fin lassù la sua voce, mescolata alla dolce melodia di un vento amico. Eppure Wolf si stancava presto del mare e delle sue onde, ritornava sempre nella foresta perché era lì che era nato ed era lì che voleva annegare di solitudine, morire nel biancore innocente della neve che lentamente, ogni inverno, andava ad abbracciare i rami spogli degli alberi vestendoli di gelida purezza. Lì camminava, ora lentamente, ora velocemente; ogni tanto si voltava indietro a guardare le sue orme sul candido tappeto, ma sapeva ... che dopo poco tempo, non ci sarebbero state più, spazzate via da una improvvisa folata di gioiosi brividi o riempite da un gelido tormento. Così, tornava a guardare avanti, senza voltarsi più indietro se non per spiare gli occhi furtivi di un Dio ammaliato dai suoi passi leggeri.

sabato 17 dicembre 2011

Fragilità

Sente freddo la luna
in questo cielo
carico di germogli aridi.
Sente freddo il petto,
sussulta al fulmine,
segreto incenerito,
mille frammenti,
scorie tramontate.
Sente freddo la carne,
breve destino di terra
imbevuta di resti.
Sente freddo l'albero
nelle ossa di polvere
che rabbrividiscono
sulle foglie cadute,
marcite e annegate
nei fiumi del mondo.
Sente freddo il mio cuore,
ha scalato vette accidentali,
ha sorpreso il bacio nascosto
nella lingua del gigante.
E l'Amore rimane a terra
sente freddo nel salire,
sente freddo e non lo può dire.
Non può dire la Verità,
morirebbe la sua Vittoria,
vincerebbe la sua Sconfitta,
annullerebbe quel mistero
che tutto divora
senza lasciare briciole
al mendicante senza sosta
che invano cerca
e per sempre
nulla trova
se non la sua fragilità.

Vincenza Fava

venerdì 16 dicembre 2011

Mosaico

Mi congratulo
e scendo improvvisamente.
Mi congratulo
sorridendo
con le labbra serrate
a stringere solchi
di fame sapiente.
Ho aperto la porta,
c'era aria fredda
da scolpire
sulle mani.
Ho bevuto il sapore
rendendolo
acre schiuma
di mare.
Ho scelto
le parole
quelle vuote
e quelle piene
per congratularmi
col Creatore,
di quanta solitudine
ci ha riempito il cuore
di fronte alla finestra
di salnitro
della carne.
Ed una musica
trasmigra
le scarpe dell'anima
sedute
sul mio trono
di magra insonnia,
spendendo
sguardi e occhi
rovinosi
che macinano
il tempo
rendendolo innocuo.
Immobile e certa,
clandestina e insicura,
guardinga e spericolata
questa vita
apostrofa il viso
dell'inquietudine.
E confesso
a tutta la schiera
dei miei demoni
che son più felice
nel delirio
del silenzio
che nelle voci
di un boato senza nome.

Vincenza Fava

martedì 13 dicembre 2011

Melodia

Giovanna viveva di pensieri, anche i più sfocati: l'importante era sentire un movimento minimo dentro la testa. Giovanna viveva di sogni, anche i più assurdi: l'importante era avere visioni nuove del già visto. Giovanna cercava un motivo, anche il più semplice: l'importante era spiegare il come e il perché di ciò che vedeva. Eppure quel giorno, non riusciva a pensare, a sognare e a spiegare: era già tutto lì quello che desiderava e percepì sospirando che stava riuscendo a vivere nell'attimo, a vivere in quel preciso istante senza complicazioni di sorta. Entrando in quella casa, aveva subito intravisto un sogno già fatto e ben scolpito nella mente: ricordava il portone, le scale e i mobili e soprattutto ricordava quell'atmosfera familiare che difficilmente avrebbe dimenticato. Un salto nella mente c'era stato, un volo senza ferite, autocommiserazioni o deliri. Era certa di vedere ben oltre l'apparenza. Ma la mente, si sa, se non tenuta a bada, riesce presto ad imporsi sulle sensazioni istintive: chi è questa persona ... cosa vuole da me ... mi sta prendendo in giro, mi farà soffrire? Saprò difendermi? Riuscirò ad uscire illesa? Sì ... perché le ferite tornavano a galla e brucianti come testimonianze di un timbro a fuoco, in falso accordo con il lavorio della mente, s'imponevano sulle emozioni primordiali, sui sogni e sulle visioni. Il dubbio, quella strana sensazione di stare in due posti nello stesso tempo, racimolava forza e la inghiottiva lentamente nel suo vortice fino a farla scomparire. Era abituata a dileguarsi, lo sapeva fare benissimo; bastava tacere, fare silenzio, evitare gli sguardi, non uscire di casa, coccolare il suo cane e addormentarsi nella penombra delle pareti di quella casa con la sua musica preferita. In quel nascondiglio prendeva coraggio e ritrovava la forza di rialzarsi, di pensare nuovamente, di utilizzare piccole ragioni per continuare ad elemosinare la sua vita, a volte insignificante, a volte troppo piena, a volte troppo vuota. Fissava così i mobili intorno a lei, la loro nauseante staticità, l'immobilismo perfetto del non essere. Divisa, sì si sentiva divisa tra l'andare avanti e il fermarsi, tra il parlare e il tacere, tra lo scrutarsi e il non guardarsi. Lo specchio non poteva spiegarle nulla, era solo un riflesso di materia informe. E non si vedeva come gli altri la vedevano, non si riconosceva nelle loro parole e nei loro volti. Solo quel volto che sembrava riportarla alla realtà e quella voce che sembrava venire dal mondo delle visioni, avrebbero fatto tacere le lacrime dell'inconsistente nostalgia. Così appassita di memorie, ricominciava a sognare e solo quando le visioni avevano raggiunto la massima estensione, si rassegnava a vivere e a capire che nonostante la sua natura fosse tra le più difficili da gestire, poteva ancora fare qualcosa, a dispetto del mondo, a dispetto di tutto quello che la circondava, degli oggetti, dei rumori e delle parole senza significato dei media, dei volti senza contorni. Aspettava così la notte per vivere di sogni e il giorno per dimenticare la vita. E solo nella musica ritrovava gli istanti di un perfetto delirio di pace, il ritrovare la passione, il fuoco delle voci interne, la scelta del presente dimenticando il passato. Nella musica scivolava cone in un sonno profondo, si riappropriava della sua vera essenza, quella che non tutti riuscevano a vedere perché stava ben nascosta dentro il cuore, protetta dal logorio e dalle intemperie del Tempo. La musica era la forza del sentire, erano le emozioni vissute e mai dimenticate, erano i gesti lenti dell'abbandono e i gesti veloci della fuga. Ed una melodia restava spesso a lungo nelle sue orecchie quasi a cullare i pensieri che afferravano il momento e poi fuggivano solerti per lasciarla in uno stato di beata complicità con sé stessa. Con sé stessa, per sempre, ovunque ... perché non c'era migliore spazio per appropriarsi della Vita, difenderla ed amarla nel bene e nel male di ogni scelta, nel giusto e nell'errore, per espandere la coscienza di sé a coscienza del mondo intero, consumando le parole nel canto di un inverno da amare.

Vincenza Fava




domenica 11 dicembre 2011

Disperazione - arresa postuma

C'era voluto il dolore per capire. Tutto è lontano, anche la felicità se non si conosce il dolore. E il dolore più grande è quello che ti coinvolge tutta, la mente e il corpo, l'anima e lo spirito. Bisogna toccare il fondo per risalire, desiderare la morte per riavere indietro la vita. E c'era riuscita a sprofondare, quella volta sì, non avrebbe immaginato una voragine così grande che potesse inghiottirla tutta, tanto da sporcare, con veemente indelicatezza, tutti i ricordi, tutte le risate e tutti gli abbracci sinceri ricevuti nella vita. Ora poteva sorridere al passato, ma era un sorriso amaro, di chi sorride pensando al pericolo scampato e a quanta stupidità aveva ingurgitato, quella stupidità che l'aveva resa fragile, trasparente, inverosimilmente patetica. Eppure aveva sempre rincorso la morte, sfidando la vita, l'aveva spesso presa di petto con una rabbia irriverente, credendo di sconfiggere gli dei dell'ingiustizia. Ma quella volta, no, non poteva farcela, la lotta era impari, era sempre stata impari,  l'altra parte della vita si può solo accettare, ora lo sapeva. Ora sapeva che non si può guardare il cadavere di un animale sull'asfalto e vomitare sangue, non si può guardare la televisione e restare inebetiti e privi di conoscenza di fronte ai massacri del mondo, non si può svenire di sofferenza guardando i bambini morti di fame e violentati, non si può soffocare in silenzio per un amore che non è amore, non si può urlare contro gli dei del dolore, perché nulla si può cambiare totalmente, ma solo in parte. Ed era quella piccola parte che le mancava, non poteva credere che potesse esistere dentro di lei una piccola scheggia di speranza. E mancare di speranza è morire lentamente, giorno dopo giorno, ora dopo ora, attimo dopo attimo. Perché tu ancora non lo sai in quel momento, ma a nessuno importa della tua vita, anche se te ne dovessi andare adesso, domani, tra due giorni o tra un mese, cosa cambierebbe al corso degli eventi? Nulla ... ma la cosa peggiore è pensare che la tua vita valga quanto la morte, pensare ... io sono qui, sto vivendo, ma a chi importa della mia vita, chi potrebbe soffrire veramente per la mia assenza? Nessuno. Tutti continuano a fare ciò che hanno sempre fatto come te del resto, che non stai facendo un bel niente per muoverti di lì, alzare il sedere e andare a cercare la tua piccola parte nel mondo. Toccare il fondo ... bella parola, presuppone una discesa agli Inferi con biglietto di sola andata a volte. E a chi puoi dare la colpa se non a te stessa? Non esiste nessuno al mondo così forte e potente da poterti ridurre così, nemmeno Dio. E quella volta, pensava, (ancora pensava insistentemente a quell'episodio), sì quella volta avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra e perché? Perché il mondo non era così bello come avrebbe voluto? Perché qualcuno si era preso gioco di lei e dei suoi sentimenti? Perché si era mangiata la dignità e il rispetto per sé stessa? No ... nessun motivo valido. Era il rincorrere la morte per offrirsi alla vita. E questo ora lo sapeva. C'era voluto un bel coraggio ... e ora sapeva di avere un coraggio immortale, stupido, ma immortale. Chi non ha paura della Morte, avrà la Vita ... Chi avrà paura della Vita, avrà la Morte. "Io non ho paura, io non ho paura, io non ho paura ..." se lo ripeteva continuamente perché era vero, ora non aveva più paura. E si diceva: "Questa sono io, io che non credo più nelle favole, io che parlo con i morti, io che vedo il sole nella luna, io che vedo gli angeli nelle notti più buie, io che ascolto gli animali, io che stringo gli alberi, io che piango il dolore degli altri, io che non sono nulla, io che non sono nulla e in questo nulla mi appago di tutto, anche di un semplice sorriso ... ora sono libera ... ".

Vincenza Fava

sabato 10 dicembre 2011

Un bel tema chiamato Amore

Il treno permette sguardi, permette di capire tante cose: riflessioni, osservazioni, una miriade variegata di umanità nella quale finiamo per riconoscerci e conoscere  aspetti presenti e passati della nostra personalità in quella vetrina chiamata mondo. Così mi ritrovo accanto ad una giovane ragazza ventenne, di fronte il fidanzatino, con uno strano sorriso stampato sul volto. Lei non parla, ha gli occhi curvi sulla Settimana Enigmistica, ma si capisce che non sta facendo nulla, legge i cruciverba in modo assente, non scrive risposte, ha la mente da un'altra parte. Lui continua a fissarla, sguardo inebetito e ancora sorridente, come un bambino che ha rubato la cioccolata e sopporta giustamente il castigo della mamma silenziosa che non dà più attenzioni perché è arrabbiata e la sua rabbia sta per esplodere da un momento all'altro. L'aria si fa sempre più tesa. Io chiudo gli occhi, quasi m'addormento quando all'improvviso una specie di grido soffocato mi fa risvegliare dal torpore in cui ero caduta. Lei sta parlando velocemente, è rossa in viso, vorrebbe gridare, ma la mia presenza la disturba e costringe la sua rabbia a restare ingabbiata dentro una voce bassa, perentoria, indiscutibile: "Sei un egoista, lo sapevo io che eri un egoista! Eppure dovevo aspettarmelo da te, no? Mi hai fatto aspettare mezz'ora alla stazione da sola e tu ... tu con la valigia già pronta, preparata innocentemente dalla mammina preoccupata... ti sei pure alzato tardi... lo sapevo che ti piaceva dormire, ma ti piace SOLO dormire, per il resto, io... io potevo pure partire da sola perché tanto a questo punto, non te ne sarebbe fregato un gran che!!!! Ti odio, egoista, egoista, egoista!!!!". Lui non replica e continua a guardare come un pesce dentro l'acquario, sicuramente sta osservando il labiale della ragazza ma non ascolta le parole, l'acqua attenua le onde sonore... E la cosa strana è che quel sorriso inebetito è ancora stampato sulla sua bocca. Abitudine? Consapevolezza? Senso di colpa del bambino cresciuto? Indifferenza? Nuovamente silenzio. Tutto tace. Il silenzio si rompe con un piccolo gesto: lui sfiora le gambe di lei con i suoi piedi per riattivare una comunicazione azzerata dalla rabbia. Vedo la maturità di lui, la fanciullezza sfrontata di lei che a questo punto accenna un sorriso. La principessa si è calmata e ora ha ottenuto l'attenzione ricercata con la maschera della voce autoritaria. E affiorano ricordi nella mia mente. Già so dentro di me che i ragazzi purtroppo non andranno molto lontano, la loro storia è segnata da infantilismo, da prove di vita che non è ancora vita, stanno sperimentando un falso approccio perché dentro sono ancora vuoti, c'è tanto spazio da riempire e lo stanno riempiendo sbagliando, procedono per errori e l'errore è necessario per comprendere. Ora è tutto acqua passata, anzi cominciano a scherzare divertiti e si mettono a giocare a carte: quel gioco diventa ben presto il loro gioco d'amore, di amore e potere... discutono se uno perde e l'altro vince e viceversa. Dopo l'ennesima partita vinta lei, protetta da un sorriso sarcastico, afferma: "Ti ho battuto, caro mio, non mi stupisco, accettalo, lo devi accettare, anzi, sai che ti dico? Sarò io a lasciarti...". E lui, sulla difensiva, con un sorriso amaro: "Eh no! Se qualcuno qui se ne deve andare, quello sono io... no eh... almeno lì fammi vincere!!!". Dentro di me sorrido, mentre memorizzo parole e sguardi. Il mio sorriso è consapevolezza di chi ha vissuto già quelle scene e sa che non è la strada giusta per la felicità e per l'amore. No, ragazzi ... questo non è amore, questo è solo una brutta copia... riguardate bene il compito assegnato. Ve l'avrà detto in passato a scuola l'insegnante che quando si fanno componimenti in classe, bisogna leggere bene il titolo per non andare fuori tema e solo dopo aver letto e riletto un sacco di volte in cerca di eventuali errori, potrete scrivere la bella copia! E... attenzione agli errori di sintassi, sono i più difficili da digerire... ve lo dico io che di errori ne ho fatti tanti, eppure oggi sono riuscita a comporre un bel tema...

Vincenza Fava

mercoledì 7 dicembre 2011

Compassione

Era distante, ma sapeva di essere vicina. Era triste, ma sapeva di essere felice. Era in bilico, ma sapeva di essere in equilibrio. Erano momenti in cui tutto sembrava difficile, ma niente in realtà era più semplice ... Le contraddizioni si tendevano e si scioglievano ... e tutto ciò che era stato, non sarebbe stato più, sì, si sarebbe dissolto, come acqua gelata bagnata dal primo sole di primavera. Quel giorno era uscita di casa, dolente del fatto che non avrebbe più fatto ritorno al dolore, a quella sensazione piacevole e pungente ad un tempo che ci rende vivi nel lungo periodo di incubazione, quando niente, nessuna emozione, nessuna sensazione nuova ci vengono a toccare nel profondo per distoglierci da noi stessi, da quel torbido turpiloquio della mente che ci incatena alla stasi, alla coerente, buona volontà di restare là dove siamo già. Sì, quel giorno aveva deciso di ritornare a vivere, accogliendo tutto dentro di sé, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il giusto e l'errore, il piacere e la sofferenza ... perché a differenza di quel che si crede comunemente, tutto è mescolato, amalgamato così bene che si fa poi difficoltà a distinguere i colori della nostra anima, soprattutto quando è confusa alla ricerca di una propria verità. Non la verità della Madre, non la verità del Padre, non la verità della Gente, non la verità scritta sui Libri, ma la propria verità, quella che ci fa sentire liberi di essere parte del Tutto, ma allo stesso tempo Diversi ed Unici in questa parte di universo, spesso considerato l'Inferno della mente mistica divina. Siamo piccole cellule cerebrali, ognuna con la sua funzione, ognuna stimolata da impulsi elettrici, piccole vibrazioni tutte collegate per adempiere ad un'unica funzione che è la Vita. E pensando agli impulsi elettrici, mentre stava in macchina, girando a caso per le vie del paese, arrivò a credere che fosse l'Amore ad essere il primo impulso, il primo motore di ogni attività, di ogni linguaggio vero, quello che non conosce falsi accenti, falsi sorrisi, falsi ammiccamenti e falsi giudizi. E' l'Amore che ci fa sentire vivi, quello che s'illumina dentro di noi per poi espandersi intorno e far fiorire nuovi boccioli di Vita inzuppata di sensibile umanità, lontana dal vocio confuso di quell'alterità che nasce nel seno dell'incomprensione per approdare ai segni dell'unica vivibile unità della compassione.

Vincenza Fava




venerdì 2 dicembre 2011

Un cappello

Avevo un cappello
dove mettevo tutti i miei sogni.
Mi proteggeva dalla pioggia
e dalle false promesse.
Lo spingevo sugli occhi
per non vedere
quel che mi feriva.
Lo rialzavo
a pericolo scampato.
Un giorno passò
un camion
di ruggine colorito
ai sogni sottratto
di sangue macchiato.
Era un giorno di vento
e il cappello volò via.
Fui costretta a guardare,
a sentire il lamento
di bestie da macello.
"Dove sono i miei sogni?"
"Sono volati via nel vento"
rispose il pianto
dal candido pelo arruffato
e dipinto di rosso sgomento.
"Fammi volare via con lui ..."
continuava a piangere la sua carne ...
Ed io gelata di morte
riuscii solo a soffocare un grido.
Così non portai più cappelli,
li cucii insieme con le parole
perché parlassero al vento
e sospingessero in alto
il dolore di ogni pianto.

Vincenza Fava

martedì 29 novembre 2011

Prepariamoci alla festa

Prepariamoci alla festa ... prepariamo scatole rosse e azzurre con fiocchi perfetti di luce a dipingere quadri vuoti di solitudine, lì dove il pieno è solo un dovere da smaltire in giornate da condividere compulsivamente. Alziamoci, agguantiamo oggetti, consumiamo e divoriamo le apparenze anche quando si piange dentro, quando stillano le luci intermittenti dei verdi abeti morti e sacrificati per la grande occasione, vestiti e acconciati da puro artificio non-sense ... Quanti pregano, quanti sognano, quanti cantano, quanti s'addormentano, quanti muoiono? La vita gira, continua imperterrita a volerci vedere come piante da serra rinchiuse in chiostri di fango senza germogli. E' sputare sulla vita, ribellarsi a tutto quello che ci hanno preparato, messo su un piatto d'argento affinché noi ringraziassimo? E' farneticare col demonio rinnegare l'opulenza di cucine ingrassate dall'unto dell'ingordigia? E' cadere nel buio delle tenebre stracciare contratti mascherati da pace eterna? E' per questo che:
Io non condivido
io non mangio con voi
io non rido con voi
io non compro regali
io sputo sulle vostre lenti deformanti
io taglio le spese
io vomito sui numeri
io spengo il televisore
io fumo sulle vostre ceneri
io muoio della mia solitudine,
ma resto sulla terra
toccando il cielo con un dito ...

Vincenza Fava

martedì 22 novembre 2011

Morire di vita

E ora che hai tracciato un piccolo cielo curvo, saprai dirmi dove sono le pantofole del mio inquieto dormiveglia. L'insofferenza ha attimi di quiete apparente; là dove il mare è blu e sembra terso e senza onde, nasconde pericoli di sopravvivenza per i nuotatori. La riva è così difficile da raggiungere, serve il salvagente della pace. Morendo di desiderio di vita, si cerca di rinascere al primo colpo al cuore per rivedere nuovamente un barlume di tenerezza quando manca il calore di mani amiche. Sentire freddo non è più delirio se cerchiamo di scaldarci alla luce riflessa di una luna, nitida sorgente di malinconie verticali. Viaggiano ciechi passeggeri dell'umano relitto nei deserti di solitudine; sotto alberi tristi di piogge future, su scale di lacrime ascendenti, nelle case riscaldate da focolari indecisi sulle ragioni di affetti spenti e mortificati da fiammelle striate di silenzi vuoti ed impenetrabili. Volano biglietti di auguri strappati al vento delle confessioni insieme a foglie morte senza ali. Il viale è cosparso di nebbie nevose e la luce dei lampioni non arriverà a domani senza aver perso l'energia del peccato. Prossime stagioni ritorneranno a parlare la nostra lingua sull'asfalto dell'insicurezza. Così una nuova primavera potrà fiorire su perle di ghiaccio, sciogliendo parole incatenate alla paura della felicità.

Vincenza Fava

mercoledì 16 novembre 2011

La vita è un gioco

A volte crediamo che l'amore sia indecifrabile, qualcosa troppo lontano dalla nostra vita, completamente fuori dalla nostra portata, eppure basta poco per sentire un sentimento positivo e perché non chiamarlo amore? Troppo spesso si confonde con il desiderio e la passione intensa che scalda corpi e anime affamate e assetate di comprensione; ebbene questo è solo un aspetto di tutto il resto, di tutto quello che conta veramente. E che cosa conta allora? Conta la poesia e la magia di un istante, di uno sguardo e di un semplice abbraccio, conta ciò che rimane scritto su pezzi di carta quando la voce viene a mancare per approfondire o confessare le proprie emozioni. E proprio di emozioni si tratta ... gioia, ansia, leggerezza, sorrisi, calore, tenerezza, languore ... fino a che non si arriva al mare della vita seguendo quel piccolo battito interiore risvegliato da sensazioni di fiducia ed entusiasmo nella condivisione di istanti prossimi alla felicità. Sì la felicità ... sembra lontana e inavvicinabile, una chimera, ma averla provata un'ora, due, tre o un giorno, non importa, basta per averla poi conosciuta per sempre. Certo poi che l'uomo/ la donna è un essere proprio strano ... non si appaga mai, per lui/lei (in base all'ormai noto e sfruttato principio di piacere) tutto questo non è sufficiente e si continua a cercare, magari rovistando continuamente nella propria vita e in quella altrui per ottenere altro, sempre di più. Tuttavia un eventuale problema è esclusivamente dentro di noi, solo lì dobbiamo cercare per risolverci, non altrove. E vedi persone che si amano e poi si uccidono, persone che urlano contro il mondo e poi si placano mettendosi la maschera dei perbenisti dopo una vita trascorsa a ribellarsi e perché? Solo perché si raggiunge una comodità materiale difficile da abbandonare. Vedi gli estremisti: sia in politica, in società che in amore raggiungono sempre lo stesso risultato. Ipocrisia, niente altro che ipocrisia, maschere, rimedi indolori per anni ma che poi rivelano tutta la loro dolente assurdità. Famiglie di facciata, caos e dolori all'interno velati da baci ufficiali, uscite domenicali e cene con gli amici. Il vestito più bello diventerà uno scudo, una corazza per sputare in faccia agli altri che sono infelici, mentre noi stiamo godendo il lusso dell'estrema gioia in società. Credo che essere sia difficoltoso, ma non come in questi tempi avariati da pensieri oscenamente egoistici e superflui. E tu, che vorresti "essere", non puoi non nasconderlo, potresti morirne, sarebbe un suicidio. "Essere", però, comporta il tentato omicidio degli altri nei tuoi confronti e tu devi difenderti, giocare in difesa, sempre, per evitare dolorose sconfitte e perché solo quel tipo di gioco avevi imparato, ti era stato insegnato in un allenamento sfiancante che era iniziato il giorno della tua venuta al mondo. Finché non arriva un bel giorno in cui, stanco di difenderti, cominci a giocare in attacco per segnare il tuo goal; i nemici-amici, ti guarderanno, prima sorpresi e poi incapaci di capire, ti insulteranno e ti tortureranno con tutti i mezzi possibili per sfiancarti e riportarti al tuo vecchio gioco, ma tu no ... non ti arrenderai più, anzi con un bel contrattacco, riuscirai a deviare le loro mosse e a vincere la tua partita. Ecco, la vita è un gioco, basta capirlo in tempo e riuscire a dare il meglio di sé in ogni momento, anche e soprattutto in quel gioco chiamato amore che dovrebbe legarci tutti quanti alla fine di ogni partita, perché si sa, i giocatori, anche se di squadre diverse, alla fine possono benissimo stringersi la mano, mangiare e bere allo stesso banchetto della vita ...

Vincenza Fava


lunedì 14 novembre 2011

Incontri

"Be careful!" sento gridare. Alzo la testa e gli occhi fissi sulle mani. In quella stazione ferroviaria, gremita di gente e di corpi anonimi in continuo movimento, la mia figura nera su una panchina di marmo nero, sembra un orologio fermo da ore, in attesa di un nuovo impulso cerebrale. La voce baritonale e potente di un uomo sulla sessantina, occhiali tondi da vista, basso e grassoccio, con marsupio al ventre, mi risveglia dal torpore. L'uomo sta gridando a me ... "Sorry ..." dico io, con voce bassa e assonnata "Are you talking to me?", "Yes, yes" mi risponde "you seem to be on another world, this place is dangerous, but are you of this world?". Aspetto un attimo per realizzare il senso di quella frase, devo pensare in inglese, parlare in inglese e la condizione del mio stato richiede almeno alcuni minuti per poter rispondere e capire che cosa vuole quell'uomo. Lui capisce la mia incertezza, il mio dubbio, la mia paura perché penso, a cosa devo stare attenta se non a te che non ti conosco, che ridi e mi parli a voce alta presupponendo la mia estraneità alla realtà circostante? Prendo coraggio e il suo volto all'improvviso sembra familiare. Sorrido, mi fido, mi fido istintivamente e parlo, inizio a dialogare in inglese e lui mi racconta che è greco, vive in Svezia con la moglie, è venuto a Roma per farsi curare i denti dalla figlia odontotecnico e sposata con un ambasciatore americano (ma non so se tutto questo sia vero... ormai comprendo che è lì per dirmi altro). Mi confessa, chiamandomi "good girl" di essere rimasto impresso dalla mia figura solitaria e assente e di non aver potuto fare a meno di svegliarmi: "Sai?" mi dice "Sei una scultura nera appoggiata pigramente su una base di marmo nero, ma vedo una luce dentro di te che mi commuove, molto good girl, ma stai attenta, non è questo il posto giusto per emanare luce" e mi fa un paragone "se fossimo in un campo di battaglia, e questo lo è, tu così perdutamente assente, ma visivamente presente perché piena di luce, saresti la prima a cadere. Oh! My good girl!" e si fa il segno della croce. Il sacro gesto e le sue parole mi colpiscono profondamente e lo ringrazio. Mi alzo e lo saluto, gli stringo la mano e guardo il video delle partenze. Il mio treno è arrivato, devo correre frettolosamente se non voglio restare lì, in quel campo di battaglia e perire sotto i colpi del destino.

Vincenza Fava

venerdì 11 novembre 2011

Labirinto

Fruscia, striscia,
rimbalza


La mia gamba
distratta


Non disdegna il
passo


In questo
labirinto

Enigma incerto


Delle mie
debolezze


Orgoglio di
frenesie

Timore di partire

Guarda

Guarda


Guarda e poi
liberati

Di questa àncora

Il mare è lontano


Sprofonda nel
vento

Accendi il suono

Deserto di memorie


Prestami la tua
mente

Sarò invisibile

In autunno

Accenderò un fuoco


Con le tue foglie
smarrite


Mi desterò al tuo
nome

Solo nel ricordo


Degli ultimi
avanzi di sole

Non piangere

Non piangere

Mi difendo

Mi difendo

Recalcitrante disdegno

Insoddisfatto mistero

Non curarti di me


Sarò polvere di
pensiero


Rinuncerò alla
frustrazione


Vivrò nel mio
castello

Guardando fuori


La pioggia
arrivare


Così nei giorni a
venire

Avrò dimore nascoste

per cancellare


La sete di
vita.

Vincenza Fava

domenica 6 novembre 2011

Rintracciami

Ho ancora un sogno da condividere
tra la pelle e il cemento della solitudine.
Sgorgano parole di fiamme accese,
si spengono sillabe di segreti e silenzi.
Scivolo in gesti ambigui
m'arrendo al dilemma dei pensieri.
E scoprimi
anello di sabbia
nella folla dei ricordi.
Rintracciami
foglia persa
nei percorsi distratti del vento.
Abbracciami
quieta nomade
nell'inquietudine del Tempo.

Vincenza Fava

mercoledì 2 novembre 2011

Allora e per sempre

Seguivo il tuo volto sereno, i tuoi occhi socchiusi e assonnati, il tuo leggero ed elegante vestito rosso, sembravi una principessa sposa della terra e del cielo. Un rosario tra le mani ... una preghiera da piangere per l'assenza del domani. Percepivo l'etere farsi scudo di verità tra la mia pensierosa adorazione per la bellezza della tua pace e le lacrime per la distanza del tuo corpo. Stava iniziando il tuo viaggio davanti alla mia mente, convinta dell'antica solitudine di Dio e compresi quanto ci si possa sentire soli in un letto, mentre tutti piangono, tutti gridano ... quando solo il silenzio aiuterebbe e purificherebbe il tuo anelito, il tuo volo desideroso di raggiungere l'unica Verità che ci è data di vedere e di sentire in vita ... Mi alzai e mi sedetti vicino a te, ti accarezzai il viso pallido e stanco per aver combattuto una faticosa e dolorosa battaglia nel campo minato del tuo corpo. Le mie mani scivolarono sulle tue e ti baciai gli occhi ... credetti di vedere un sorriso ... Così come d'incanto, scivolò una lacrima sul mio viso, una lacrima che serrava la gola ma che allo stesso tempo nutriva tutto il mio fuoco interiore. In un attimo ripercorsi con la memoria tutti gli istanti vissuti con te, tutte le frasi, tutti i pensieri, tutti i sorrisi e i dolori condivisi ... e compresi dove fosse il Paradiso: era lì con me e con te nel momento dell'Addio ... nella confessione di un ritrovarsi di nuovo insieme un giorno, legate da quel filo che sorregge ancora la mia Vita, la nostra Vita, allora e per sempre ...
Tua Vincenza

domenica 30 ottobre 2011

Angelo

Dicono che sono un angelo, ma non mi conoscono. Non lo sanno che gli angeli vivono Altrove, in mezzo a noi, ma Altrove. Un'altra dimensione a cui è difficile accedere, si può solo percepire quando riesci ad afferrare, in quel milionesimo di istante passeggero, una luce che ti abbaglia e ti rende leggera mentre profumi di Eden smarriti, ritornano in immagini di voli su torrenti in fuga. E' una fuga e un ritorno in caduta e la vertigine ti trasforma in polvere di diamanti che presto diventeranno solida carne su terreni polverosi. Terreni aridi e terreni erbosi, deserti e praterie, mari e laghi di cemento. Qui scendono piogge di lacrime quando mi dici che vivere non è abbastanza, quando mi dici che hai bisogno di una coperta per non avere freddo questa notte e lì dietro l'angolo un bambino sta morendo. Così il mio amore non può difenderti, non può assorbire tutto il dolore, non può colmare le mancanze, così il mio nome non è Angelo, bisogna andare Altrove per trovare il mio nome, Altrove per trovare un Angelo sopravvissuto alle cadute del mondo.

Vincenza Fava

Maria la Bella

La "fanciulla" corrisponde all'Anima dell'uomo ... ma finché si accontenta di essere una femme à homme, la donna non ha nessuna individualità femminile. E' vuota, una mera esteriorità, e diventa un gradito ricettacolo delle proiezioni maschili.
C.G.Jung

L'educazione maschilista ancora è dura a morire in alcuni paesi in cui la donna viene cresciuta come un ricettacolo vuoto in cui s'imprimerà la volontà maschile. Questo racconto (solo uno stralcio) è solo un caso limite ed estremo ma ispirato a fatti veri. Lo stesso racconto sembra essere ambientato in un mondo lontano del passato, ma ha forti analogie con il mondo odierno delle veline, donne che non pensano, donne che si agitano sensualmente per attrarre quell'uomo che riverserà su di loro le proprie antiche proiezioni di essere predominante e plasmatore ... E la cosa grave è che oggi sono proprio le stesse madri ad educare le figlie a questo tipo di cultura che resta pur sempre maschilista ...
V.F

Mi chiamo Maria, sì Maria come la mamma di Gesù e sono nata in questo paese dimenticato da Dio ben 20 anni fa. Tutti gli uomini qui mi chiamano Maria la Bella, ho un bel sedere e due tette da brivido e come esco di casa a far spesa non riesco a camminare per più di cento metri che qualcuno mi chiama e fischia:"Ehiiiii!!!Bella, Marì la Bella, vuoi venire a fare un giretto con me? Andiamo a vedere se sono fatti i fichi!". Questa storia dei fichi mi fà ridere e quanto rido, rido così tanto che tutti i miei denti bianchi sembrano sassi lucidi di mare e i miei occhi verdi s'illuminano come fari nella notte! Una volta ci sono andata a vedere i fichi ... ma mica solo una eh! Se lo sa mia madre ... Devo tenere questo segreto finché non mi sposerò, i miei già stanno preparando la dote e stanno cercando un uomo serio, con un lavoro sicuro e una casetta nuova di zecca dove crescere i figli che verranno. Non vedo l'ora di indossare l'abito bianco ed entrare in chiesa con il volto coperto da un velo bianco d'amore!!! Mi chiamo Maria e quel giorno sarò più bella della Madonna ... Mi piace ridere, mi piace parlare tanto ... di vestiti, di stoffe, di piccoli gioielli, di tovaglie ricamate e di piatti buoni da preparare ... eh sì perché dovrò essere brava a cucinare, il mio uomo ne sarà felice. E dovrò essere brava a fare certe cose, così lui non mi tradirà mai ... Ma sono bella, non devo preoccuparmi ... so tacere anche, sarà lui a parlare di cose serie per me (ma quali sono poi le cose serie?), io parlerò solo di quello che so fare ossia la brava moglie, la brava madre, sarà lui che mi insegnerà a capire come devo comportarmi. Mia madre mi ripete spesso che un matrimonio poggia soprattutto sulle spalle di una buona moglie e questo sarà il mio compito: non deludere ... sono bella, me lo dicono tutti, sono brava, me lo dice mia madre ... Io non voglio pensare, non mi piace pensare e gli uomini hanno sempre ragione ... Ma ora meglio pensare ai fichi:"Agostì, aspettami che arrivo!!!! Non vorrai mica lasciare qui Maria la Bella tutta sola, no???".

Vincenza Fava

sabato 29 ottobre 2011

Donna

E mi disse ...
nulla sei
nulla donna
sei solo una prostituta
di parole eretiche,
chiedi perdono
tra il sangue
delle tue bestemmie
e l'immagine del tuo volto.
Non fioriranno rose
sul tuo cammino
e raccoglierai fango
e fiele
che uccideranno
la tua purezza
che un giorno
è stata mia.

Vincenza

Ritmo 1

Aveva un po' di soldi in tasca e camminando sul boulevard intriso di foglie malinconiche e sgualcite dai passanti, si fermò assorta a pensare a cosa poteva fare con quei pochi spiccioli, bastavano a mala pena per il pranzo dell'indomani, una zuppa calda o magari una baguette farcita ... Ma il boulevard a quell'ora della sera ispirava ben altro ... si sedette pensierosa su una panchina appartenuta poco prima ad una coppia di giovani amanti, freschi di sorrisi e di baci. Le si era stretto il cuore ad immaginare ... solo immaginazione e niente altro. I sogni hanno vita breve quando la vita chiede altro: un lavoro? Un uomo che pensasse a lei? Ma quando mai si sarebbe lasciata convincere, a condividere, a permettere che qualcuno osasse avventurarsi nel suo cuore ormai troppo stanco di favole, di parole, di gesti quotidiani, di una tazza di latte freddo, inacidito dalla noia di un mattino acerbo ma già pieno di orrori da smaltire durante la giornata ... Eppure c'era ben altro, lo sapeva dentro di lei e il dilemma era agire o restare inerme a pensare, a pensare alle lungaggini di un tempo che non trovava scorciatoie verso la fine degli affanni. Era ora di alzarsi e prendere la vita di petto, inzupparsi, infangarsi, sporcarsi, ma era ora di farlo ... Si alzò tormentata e stanca di non essere riuscita a trovare una soluzione. Si rimise a camminare, avanti, andava avanti ed amava fermarsi ogni tanto sotto la luce magica di un vecchio lampione che sembrava stare lì proprio per lei, per appoggiare il suo corpo, la sua debole carne e i suoi occhi accecati dal nulla del domani. Poi si guardò in una vetrina, la luce del lampione le rimandava il suo volto e la sua figura: era ben vestita, prima di uscire di casa aveva messo il vestito più bello, un vestito di seta nera, lungo con un ampio spacco laterale, scarpe nere, tacchi alti. La folta capigliatura le ricadeva sulle spalle e le donava un non so che di angelico e di diabolico ad un tempo, specialmente le labbra rosso carminio erano un invito a perdersi nel suo desiderio di sentirsi ancora viva ... Così prese coraggio e si avviò in modo fulmineo verso quella milonga un tempo tanto amata. Entrò e lasciò dietro di sé ogni paura; il fumo denso del locale le aveva già annebbiato la mente e la musica suadente la invitava a vivere l'effimero dell'istante, di quel presente ora tangibile ed affascinato dai passi marcati e stretti dei tangueros. Vide un tavolo libero, si sedette, non aveva un compagno, non poteva ballare e aspettò che la sorte le donasse una mano amica. Non importava, l'intenzione contava più dei fatti, più della realtà stessa, l'intenzione di sentirsi carne unita al movimento e al ritmo del sangue ora fluido e fattosi puro istinto ...

Be continued ....

Vincenza Fava

venerdì 28 ottobre 2011

Assenza

La condizione di alcuni esseri viventi ... la condizione dell'uomo, la condizione degli animali, a volte troppe analogie ci fanno pensare che in fin dei conti la vita è importante per tutti e che nessuno è esente dal dolore dell'assenza.

Teddy stava buono, aveva imparato a stare buono, in quei quattro metri quadrati che ormai erano diventati la sua casa ...  da quando era nato, sì ma quando? Ricordava a malapena il volto di sua madre, il caldo coccolio del morbido ventre e non rammemorava i suoi colori ormai sbiaditi ... oppure, forse, il suo mondo era stato sempre in bianco e in nero? Non ricordava, no che non poteva ricordare ... il cielo aveva cambiato tinta un sacco di volte durante quel tempo, anche se non sapeva cosa fosse il tempo, non gli era dato modo di sapere, ma conosceva le sfumature ... il nero-blu della notte acerba, il rosa ambrato dell'alba, il bianco e fulgido candore di un cielo estivo di mezzogiorno, il grigio nebbioso di un mattino autunnale e la luce accecante della neve di gennaio. Solo questo gli era dato di sapere, solo quello che poteva osservare da quell'angolo nascosto di mondo. E un pasto lo aveva, una volta al giorno; quella signore gentile, vestita coi soliti panni di tutta una vita, glielo porgeva amabilmente ed una carezza riusciva ad ottenerla, bastava scodinzolare per una decina di minuti, da quando si apriva il cancello di quel triste luogo che era la sua casa ... sì ... per tutto il tempo della sua piccola vita ... ma che cos'era la vita e che cos'era il mondo ... era tutto lì in quei quattro metri quadrati che conosceva alla perfezione. La sua cuccia troppo calda d'estate e troppo fredda d'inverno, lo accoglieva come un vecchio involucro moribondo. Spesso arrivava gente nuova, c'erano anche dei bambini! E ogni volta sperava che fosse la volta buona per avere una famiglia, una casa accogliente, cibo caldo da masticare beatamente, carezze colme d'affetto che non chiedevano niente altro in cambio se non un abbraccio di coda, un sorriso di baffi ... Ma nessuno lo voleva, forse era il suo aspetto fisico che non andava, forse era quella macchia nera sul muso, forse erano le sue gambe troppo corte o forse o forse ... mah misteri, non andava. Basta. Non c'era altro da aggiungere. Non andava affatto. Doveva accettare, doveva rassegnarsi. Tuttavia, l'unica cosa che non sopportava era il fatto di non riuscire a capire perché fosse nato se non poteva fare ciò per cui era nato ... amare ... amare qualcuno ... solo qualcuno ... non avrebbe chiesto altro e perché, si chiedeva, è così difficile amare se è l'unica cosa che conta, l'unica cosa che avrebbe voluto fare, l'unica cosa che avrebbe dato un senso alla sua vita. Ma allora è vero che gli esseri umani hanno così bisogno d'amore come dicono di avere? Allora è vero che hanno così voglia di amare come dicono di volere? Forse sono nato in un mondo sbagliato, pensava, il mondo degli esseri, semplicemente esseri con niente di umano. Altri suoi simili, adottati e comprati, avrebbero detto il contrario, lui no, non poteva affermarlo perché questa era la sua vita, questa la sua casa, questa la sua assenza nel mondo degli esseri e non poteva credere in ciò che non aveva ma solo in ciò che sentiva: assenza, una lunga e perdurante assenza che lo avrebbe accompagnato fino al momento in cui non si sarebbe ricongiunto al morbido ventre di sua madre ... unico affetto, unico amore della sua inutile esistenza. E la grande tragedia è che questa è la condizione dell'essere ... animali o umani, per molti è così ...

Vincenza Fava

giovedì 27 ottobre 2011

Radici

Se trattenere significa imprigionare ... quante volte abbiamo cercato di afferrare qualcosa o qualcuno per renderlo prigioniero delle nostre insicurezze? Quante volte ci siamo chiusi le orecchie per non ascoltare la voce di chi implorava la libertà dalle catene? E quante volte abbiamo scambiato l'amore per una sorta di illusione di possesso di quell'anima che sfuggiva al nostro controllo? Se pensiamo seriamente a tutto questo, ci accorgeremo che il concetto di amore è ben lontano da ciò che realmente dovrebbe essere: scambio di carne, è vero, ma soprattutto scambio di anime e di pensieri, scambio e non imposizione. Accettazione e non rassegnazione. Stima e non gelosia. Libertà e non fare ciò che si vuole. Comunicazione e non solo silenzi ovvero silenzi significativi, quando occorrono. Silenzi e non rifiuti, questi ultimi sono un colpo al petto, una ferita che tarda a guarire, ma una volta guarita non si torna più indietro, per sempre. E non bastano più le parole, non bastano più gli abbracci e i sorrisi perché il dolore puro c'è stato, il dolore che fa vomitare l'anima fino alla più piccola fibra del tuo minuscolo involucro che racchiude un essere frantumato e devastato. Dalla devastazione, però, si rinasce: basta non aver bruciato o sotterrato per sempre le tue radici, quelle che attingono ancora a un po' d'acqua per dissetare i rami secchi. E su quei rami secchi, basta un germoglio che con la prima pioggia di primavera, tornerà a fiorire. E con il senno di poi, si cercherà la luce giusta per crescere, l'aria più ricca di ossigeno per respirare e nasceranno fiori per augurarci di trovare la purezza dei sentimenti, amicizie e amori senza dare nessun dolore, senza ricevere nessun dolore ...
Vincenza Fava

mercoledì 26 ottobre 2011

Musica del cuore

Eh sì ormai aveva capito di essersi abbandonata un po' troppo al suono della musica, quella musica lenta e cadenzata che tutte le sere illuminava la sua stanza e la inebriava di nuove parole, dolci e sensuali note melodiose. Avrebbe voluto sciogliersi in quell'abbraccio sospirato ... poi se ne andava la voce e i segni dell'ultimo bacio ... restava il vuoto di brividi che avrebbero voluto essere colmati e cullati da quella passione ... perché della musica, quando è miele d'ambra e sabbia bianca d'estate scivolata lentamente tra le mani, non riesci più a fare a meno. E più ti prende e più ti addolora il silenzio che segue perché lì vorresti restare per sempre, in quegli attimi di sospensione, in quel fiume che ti trascina lontano verso lidi intravisti da albe sconosciute ai giorni ordinari. Eh sì ... perché quella musica era amore, era passione in passi lenti e freschi di speranze nuove ... ma la tristezza poi giunge ... poi giunge perché la musica deve tornare e colmare la malinconia di ciò che se ne è andato col tuo cuore ...

Vincenza Fava

domenica 23 ottobre 2011

Dentro lo specchio

Sara aveva un desiderio che voleva assolutamente veder esaudito. Da tempo fantasticava sulla strana eventualità di diventare invisibile: le sarebbe piaciuto enormemente andare per esempio a casa di sua madre e suo padre e sentire i loro discorsi, certo ormai li sapeva a memoria, ma in sua assenza si sarebbero lasciati sfuggire dettagli e particolari a lei finora ignoti, così almeno pensava dentro di sé. E quel tarlo la divorava ogni giorno, ogni notte, soprattutto nei momenti di pausa, quando l’ozio e la negligenza prendevano avidamente possesso delle membra e di ogni più piccola nervatura del corpo. Il caldo insopportabile non l’aiutava certo a riprendersi dal dormiveglia continuo in cui divano e letto erano i migliori sostenitori dell’amata indolenza. Lei si crogiolava nella presunta patologia, ci si gongolava beatamente, tanto che ormai la “malattia” aveva assunto un ruolo troppo importante nella sua vita, fino a sostituirla completamente. Così l’invisibilità rappresentava il punto di arrivo di un percorso faticoso che la conduceva in uno stato di beatitudine fuori del normale, un energico sprofondare nella culla del nulla, la possibilità di scomparire e al tempo stesso di essere presente come un fantasma solitario in cerca di pace. L’ostacolo principale era però la sua mente sempre in bilico tra il dover essere e l’essere, tra l’accedere e il ritirarsi, tra una scommessa e un pentimento, tra l’ombra e la luce, tra lo stringere e il lasciare, tenere duro e abbandonarsi. Ma, anche la mente poi cedeva all’indolenza, dopo una lotta all’ultimo sangue contro sé stessa, cedeva …. e come se cedeva. Sara si scrutava poi allo specchio, ma non vedeva nulla, solo un’immagine riflessa, non poteva essere lì il suo benedetto corpo, non poteva restare bloccato in un oggetto. Di qui il pensiero che la materia potesse riflettere pur sempre l’esistenza. Ma fu in un giorno qualunque che scoprì la sua verità. Decise di andare lungo il corso di un fiume (un tempo lo aveva desiderato quale ultima meta per cancellare le proprie sofferenze) e vi si specchiò, cercando di afferrare un minimo movimento di essenza nelle piccole vibrazioni dell’acqua. Ricordandosi del mito di Narciso, rifletteva sul rimando ai propri occhi della sua immagine e non si beatificava come un tempo, no, ormai aveva compiuto il grande passo del dolore nella separazione del sé perché vedeva l’Altro in quella immagine. Aveva riparato con la sofferenza l’antica ferita del primario tradimento della madre, ricucendo con fili di sangue la propria sembianza frantumata. Così la precoce lacerazione, un tempo allontanata con l’insicuro ed inefficace, egoistico ed infruttuoso amore per sé, l’aveva condotta ad un ulteriore passo per la comprensione della propria coscienza, al di là dei consueti schemi mentali di vita quotidiana. L’indolenza era solo uno strumento per non cedere al dolore e uno stratagemma per evitare di affrontare la vita. Era bastato specchiarsi e in un giorno di caldo asfissiante aveva scoperto che cosa aveva provocato tanto dolore e quale era il giusto rimedio per sanarlo. Amare e confrontarsi senza aver paura di perdersi e di soffrire, fidarsi ciecamente delle proprie capacità e dell’amore degli altri. Solo questo niente altro…. Sembrava una scoperta di poco valore, ma in realtà era la rivelazione che le apriva gli occhi sull’intero universo e l’unico modo per creare il proprio destino individuale.
Vincenza Fava

venerdì 21 ottobre 2011

Uovo trasparente

Lo vedi sì? Sono una bambola, una bambola che sorride, acqua, fuoco, denti e ossa, sull'ultimo gradino ho riposto il mio vestito, per prenderlo devo sporgermi e salire. Lì su quelle scale son caduta sulla polvere dei centimetri che annullano la matematica dei pensieri. Ho appreso l'alfabeto degli uomini quando ho sentito la pelle asciugarsi al sole e arrendersi alle luci della notte. Non capisco il fresco vuoto, non mi desto al biasimo della mente. Sono qui, mi vede lo specchio che mi rimanda ad un ritaglio di giornale, spensierato destino dalle candide acque viola del mio umore. Un'altalena che gioca con le dita del bambino, un piccolo frammento di uovo trasparente, un cucchiaio sul davanzale del domani per raccogliere i cocci di cenere che ho spento sul mio corpo. Ho appreso a camminare nei cerchi di grano, nella campagna spudorata, senza ansietà di buona condotta. E lì mi sono abbandonata ai primi diluvi primaverili quando i cieli dipingono schermaglie di verde speranza. Non colmavo il bisogno, chiedevo profetiche parole per parlare con gli dei dell'emiciclo, con i papaveri delle donne curve sui telai, con le braccia dei servi della Terra.
Vincenza Fava

giovedì 20 ottobre 2011

Lo schermo del mondo

Aspetto la notte per vedere i colori del giorno...spegni la roboteante rumorosità dei piatti e non ti accorgi che si accendono altri suoni quelli dei segreti seduti sui libri su cataste di pensieri andati.
Come è piccolo
lo schermo
del mondo!
Sembra una lanterna
nelle dita di un gigante
che annega nel fiume
delle sue parole!
Allora
apri le finestre
sul muro battuto
delle storie.
La placida serenità
di un lampione
offerto al vento,
una panchina
compagna della luna,
alberi stretti nell'umido deserto
di pirati ubriachi di donne sole.
E mentre si consumano amori di niente
bambini aggrappati a scialuppe di morte
sprofondano semi di speranza
in voragini di disperazione.
Tiranni uccisi
balconi fioriti
soldi ammuffiti
giostre di danza
su una nave di gioielli
lusso e vuoti a perdere
nella pancia affamata
del mondo ...
Come è piccolo
lo schermo del mondo!
La gioia non paga il dolore
e l'indifferenza
spezza il cuore.
Come è piccolo
il sentimento del mondo!

Vincenza Fava

mercoledì 19 ottobre 2011

Destino

Destino
tu mi consumi ...
hai le ferite
degli anni
e il sangue
del mio pianto.
Scosse
e brividi
allontanano
la paura
e l'intrepido
sussulto
di vederti
un giorno
accanto a me,
folle d'amore
per le mie
parole
in un letto
di speranza.

Vincenza Fava

martedì 18 ottobre 2011

Tempo e Spazio

Spesso si soffermava a pensare a quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva rivolto lo sguardo al cielo cercando i segni di altre esistenze. L'ultima volta era stata una sera d'estate, in completa solitudine sulla riva del mare, intenta ad osservare il cielo sopra di sé. Era l'ora del tramonto quando all'orizzonte i colori del sole sembrano un arcobaleno sereno che avvolge le membra stanche ormai di pensare troppo. Ed era a furia di pensare che, si rendeva conto, non era arrivata da nessuna parte. Doveva abbandonare la razionalità a volte soffocante, a volte in perdita costante, a volte minata da visioni gigantesche di tragedie immani, impossibili da risolvere. In quel tunnel disarmante era entrata troppe volte e troppe volte ne era uscita fortunatamente illesa e soprattutto ne era uscita più forte di prima, capace di descrivere il mondo, le sue emozioni e tutto ciò che la circondava in poche parole. Ed in quella solitudine, in quella stasi apparente, comprese che i brividi dell'esistenza erano un'illuminazione in grado di sorreggerti per pochi istanti per poi abbandonarti nuovamente al delirio e all'impotenza di poter dare una spiegazione logica a ciò che logico e razionale non è. Era una lotta all'ultimo sangue tra il bianco e il nero, tra il bello e il brutto, tra il buono e il cattivo, tra il giusto e l'ingiusto. Si struggeva di non riuscire a comprendere quell'Uno a cui tanto aspirava, presente per un millesimo di istante e poi lontano giorni, mesi e anni. Faticava a comprendere il motivo di tanta incostanza, forse era la sua incostanza, la sua incapacità di restare ferma nel movimento continuo di un'esistenza che girava vorticosamente intorno a lei senza darle la possibilità di capire in modo totale. Capiva, questo sì, la miseria di una vita, un briciolo di tempo di fronte all'immensità dello spazio che l'avvolgeva. Ma l'infinità dello Spazio la portava continuamente verso l'infinità del Tempo. E guardando le stelle comparire nel cielo, si chiese se tutte le domande non avessero infine un'unica risposta che non era nel cercare, ma semplicemente nell'osservare la tenera espansione del suo animo verso l'infinita grandezza dell'universo.

Vincenza Fava

lunedì 17 ottobre 2011

Prima che

Ricordo i primi passi sulla spiaggia, sembrava di sprofondare in una terra soffice, inzuppata di acqua e fango di vento. Mia madre ansiosa e preoccupata mi teneva per le mani, non voleva che il mare mi trascinasse lontano da lei. Con lei dovevo restare, vicino a lei dovevo restare e sembrava che mi dicesse che all'infuori di lei tutto era pericoloso, tutto l'orizzonte poteva ingoiarmi e l'infinito non sarebbe stato mai alla mia portata, alla portata di ogni uomo e donna che avrebbe calpestato il suolo dell'esistenza. Eppure volevo immergermi in quelle acque ritmate dove le onde giocavano a rincorrersi come quando giocavo con mia sorella tra gli alberi selvaggi della campagna. Avrei potuto essere gioco nel gioco, ma il gioco era troppo pericoloso, vicino a lei dovevo restare, con lei dovevo restare. Ma le mie mani cercavano di liberarsi dalle sue, volevo vivere di mare, volevo vivere d'infinito, sapevo già dentro di me che l'orizzonte non era troppo distante dal mio corpo e dal mio tenero spirito, ingentilito di poche memorie ancora. E le grandi memorie vanno create col fuoco del coraggio, perché la polvere può trascinar via con sé ogni ricordo. Abbiamo poco tempo per vivere di coraggio, il resto del tempo lo gettiamo nel vento, così come se fosse spazzatura. Dobbiamo stringere il tempo, dobbiamo vivere d'amore e solo di esso consumarci. Ma quelle mani, a volte, ancora mi stringono per fermare il mio istinto, per dirmi che non è possibile andare verso il mistero dell'esistenza, paura devi avere paura, non puoi non avere paura, devi avere paura e tutto sarà più semplice. Eliminando la paura, potresti avventurarti in zone proibite e cadere sotto i colpi del destino, le onde potrebbero trascinarti lontano da me, figlia mia, lontano da me, resta vicino, resta ancora non te ne andare. Eppure adesso so che devo andare, niente paura, posso gettarmi nel mare, posso vivere di aria e di onde, posso cadere sotto i colpi del destino, posso cadere perché un giorno dovrò cadere lo stesso ed è meglio essere preparati e saper cadere, magari, perché no, anche ridendo. E tutto resta, tutto resta accanto a sé stesso, ma noi no, noi non resteremo mai così vicine, così vicine. Voglio restare con me stessa, voglio cadere da sola e imparare a cadere negli infiniti segni del mistero e abbracciare il mio destino prima che io cada sotto i suoi colpi, prima che sia troppo ... prima che ... prima che il buio parli alla mia voce, trasportando con sé le mie povere confessioni di anima confinata nelle mani di un Dio qualunque.

Vincenza Fava

Guerre

Guerre parricide,

matricide,

infanticide.



Tradimenti infami

di croci infangate,

trasversali cospirazioni

nel viaggio mortale

di grattacieli allucinati.



Epoca di sangue

perduta

nelle menti illuse

di un Eden disilluso.



Scoppi,

ribollii,

valanghe,

scariche…

tripudio di carne suicida.



Nulla è più duro

del nero incrocio

di strade innevate

da odio e rancore.



Non pregate il nulla,

il vuoto,

l’assenza

di un Dio nascosto

nelle luminose escrescenze

del lusso danaroso

del placido perbenismo.



Oh! Crudele sonno della ragione!

Ascoltate il pianto silenzioso

degli angeli torturati…

 Vincenza Fava






sabato 15 ottobre 2011

Troppo lontano

Amore è un bacio sospirato, è una lacrima che scende sul viso, è un fremito del corpo, è una voce che canta e ti solleva... così pensava, mentre si ritrovava a sognare e a cullare nel vuoto della sera una figura disegnata nella mente, ma che aveva dei contorni perfetti come il sole quando scende sul mare e sembra abbracciare l'orizzonte, nel tentativo di non lasciarlo andare lontano, troppo lontano ... l'immagine sarebbe diventata sottile, sfocata fino a scomparire, ma la cosa importante era cercare di stringere, era la volontà di afferrare l'inafferabile. Allora baci sfiorati, carezze fresche come seta, mani gentili che avrebbero cercato l'alba nel suo corpo. E poi il nome del silenzio nelle ombre che seguono gli sguardi persi nel piacere di sentirsi uniti nel dualismo dell'esistenza. E il tentativo di rinascere nel fuoco che libera i sentimenti, quelli puri, quelli che non hanno definizione se non nei gesti e negli sguardi... Infine una voce, un'eco nella notte che avrebbe risuonato nei vicoli del mondo, negli angoli nascosti delle città, nelle vesti di giganti bambini sorpresi dalla castità di stelle innamorate del loro cielo illuminato dalla luce di una nuova alba. Quell'alba del suo corpo che nascondeva diamanti di abbracci per quella figura disegnata nella sua mente, ma che aveva una voce perfetta e sarebbe stata la voce della sua notte amica quando una lacrima scende sul viso e diventa fiume d'amore per perdersi nella profondità di un sogno eterno, eterno come l'orizzonte abbracciato dal sole, prima che se ne vada lontano, troppo lontano ... 

Vincenza Fava

Al mercato

Camminavo tra le bancarelle, persa nel vociare della gente intenta ad acquistare piccoli oggetti, vestiti usati, scarpe economiche e stranamente colorate, fiori per arredare case chiuse al sole o amorose tombe da piangere in giornate uggiose e deprimenti. Mi rendevo conto della moltitudine, dell’estensione dei corpi, della materia che occupava lo spazio e non riuscivo a vedere altro se non la mia perdurante assenza. Neanche un boato avrebbe potuto risvegliarmi dalla pesante apatia che martellava furiosamente nella mia mente. Le persone erano diventate maschere bianche, in vesti cangianti e trasparenti. Una bambina nella carrozzina lanciava grida inverosimili che scioglievano il tepore della pelle materna. Il venditore di formaggi ormai era intrappolato senza saperlo negli infinitesimali umori del latte cagliato, mentre il commerciante africano di borse se ne stava seduto per terra, in attesa della prossima persona interessata alle futili mercanzie che riportavano famosissimi marchi riprodotti alla meno peggio. Bastava attraversare la strada e lasciare quel mondo confuso, aggrovigliato in pochi spazi in cui le strettoie apparivano corridoi verso l’appropriazione indebita delle possessioni. Acquistare un oggetto mi avrebbe regalato un tempo, l’effimera sensazione di appartenere al gruppo, alla generale , bulimica consumazione di ore capricciose e frivole. Ma una cosa aveva attirato la mia attenzione: un vociare più forte proveniva da un punto ancora indecifrabile. Cominciai ad avvicinarmi allo spazio in questione captando la vicinanza sempre più imminente delle voci. Mi affacciai in punta di piedi tra le teste della gente e vidi un vigile urbano che urlava a squarciagola, mentre un  venditore del continente nero stava rimettendo le sue cianfrusaglie dentro una gigantesca borsa di plastica. Non hai il permesso, ti dico ancora una volta, non hai il permesso, vattene di quiiiii! Mi hai visto? Chi sono io, eh? Chi sono?, Io non so, io non so… Come non lo sai, lo sai e fai finta di non capire, ma chi c…o ti ha fatto venire qui, eh, me lo sai dire, tornatene da dove sei venuto e fai pure in fretta altrimenti m’inc…o sul serio! Nel momento stesso in cui il ragazzo sulla ventina, dalle pelle color ebano e lucida di sudore e vergogna, si mise la borsa a spalla e cominciò a camminare verso la propria autovettura, la gente, come se non fosse successo un gran che, ricominciò a passeggiare e a guardare le bancarelle. Solo io ero rimasta lì, inebetita e più apatica di prima, col peso sulla coscienza, un senso di colpa avvilente: non avevo agito, il gruppo mi aveva agito.
Vincenza Fava

venerdì 14 ottobre 2011

Bla bla bla

Meno male che il tempo passa, passa e ti istruisce. Se fosse un eterno istante e tutto volgesse all'infinito su questa terra, non imparerei ad amare l'incertezza e l'effimera presenza della carne. Meno male che ci sono occhi per guardarti dentro e capire ciò che sta fuori. Meno male che impari a vivere di te stessa. Meno male che sono umana con tutti i miei pregi e i miei difetti. E meno male che esiste l'amore universale, perché è ovvio solo l'amore innocente e disinteressato ti dona la felicità. Non sopporto le madri che amano solo i propri figli senza donare uno sguardo amorevole a tutti gli altri che incontrano, pensando solo che siano un pericolo per la sopravvivenza dei propri. Questo non vuol dire essere genitori amorevoli, significa solo insegnare l'egoismo delle proprie catene. Non sopporto chi ti umilia solo per sentirsi superiore, non sopporto l'indifferenza calcolata, non sopporto le amicizie superficiali e le frasi stereotipate che si usano per convenienza e per buona educazione, meglio il silenzio. Bla, bla, bla, bla, bla, bla....E allora il rumore di tanto vocìo ed inutile parlare si calmerebbe e tutto volgerebbe al vero significato delle parole, perché una parola ripetuta mille volte e sempre allo stesso modo perde ogni significato, rimane il vuoto, un vuoto che colpisce la tua sensibilità che trova spazio e libertà solo nella costruzione di immagini interiori. Questa è la mia felicità, la mia poesia, il suo significato: giocare con le parole, farle saltare una ad una, scomponendo e ritraendo le mie emozioni, il mio pensiero e la mia follia.

Vincenza Fava

Grazie

Grazie al poeta e pittore Ennio de Santis per questi suoi pensieri ...


L’arte di Vincenza Fava



Natura è l’eterno ripetersi che esprime forza e bellezza in tutte le sue forme. Sta all’occhio catturarle, concepirle al pensiero.

I poeti, gli artisti credo abbiano, oltre questa facoltà, il dono dell’immaginifico che penetra e scopre gli altri volti nascosti nel reale, mettendoli in luce, quali nuova fattura che esalta i sentimenti, rendendoli palpiti in armonia col creato.


Vincenza,

dalla tua poesia, dalla tua danza, penso tu faccia parte di questi.

Vegli i giorni e le notti del tuo tempo.

Aguzzi l’occhio, la mente, li affondi e scavi nel cuore buio delle esistenze che ti vengono incontro. Insegui nel loro ventre le voci, le creature in embrione che chiedono, e tu dai loro, vita: le ho viste uscire dai tuoi versi e, nei tuoi passi, danzare.



Luglio 2008

Ennio De Santis



  







Mickey Mouse ... amico mio

A volte basta ritornare all'infanzia per poter ritrovare il sorriso, non servono sempre grandi libri e metafore ricercate, a volte basta poco ...

Non so perché, come è successo e quanta fatica sento sulle braccia... è il peso forse di questa giornata malinconica o sono i giorni a venire che mi incutono più timore? Trasecolata, sdegnata e inferocita con questo barbaro e insulso trascorrere del tempo, mi intestardisco a rimuginare pensieri indefessi, litanie assordanti, rimbalzi costanti e cadute sciroccate sul selciato lastricato di spine pungenti di cui è cosparsa, seppur ingenuamente, la mia mente infervorata, incasinata, di domande.... a cui, purtroppo, mio lettore, ahimè, non riesco a dare nemmeno una  benché minima risposta. Allora mi siedo, sorseggio un po' di tè, mi rilasso, con una dolcissima musica new age, sarà forse l'unico modo per poter rasserenare il mio piccolo e stanco cervello di un insulso seppur vitale essere umano, o quel che ne rimane. E allora... ora cosa faccio... penso, e poi penso nuovamente ancora....cioè tutto questo, in fin dei conti, amabilissimo lettore, non mi è servito a nulla, a che pro distendere le proprie membra spossate e affannate su questo sofà ammorbidito da anni di calorose impronte del mio pur stanco deretano? Ma come parlo, come mi è venuta in mente una tale stoltezza da far rabbrividire anche il più ingenuo lettore dell'agognato amico  mitico Mickey Mouse..... non è proprio da me, lettrice instancabile di romanzi multilingue, di poesie arcane e misteriose e di saggi labirintici che intorpidiscono la mia mente e la inducono in una sorta di godimento  metasessuale e in un fecondo narcisismo metapoietico di strabiliante fattura e bellezza (non a caso mi specchio frequentemente in ogni pagina del libro che sto leggendo, creando nessi e legami tra ciò che sono e quello che potrei essere, fermo restando la concupiscenza mattutina con la mia beneamata colazione....), dico non è da me, starmene così impallidita e morente sul divano a mugulare... ma dov'è il telecomando? Ehi! Mickey Mouse è pronto per partire!

Vincenza Fava


Vestimi

Questo racconto mi è stato ispirato da alcune persone conosciute nella mia vita, non vuol essere un’accusa a tutte le donne, ma solo fortunatamente, ad una parte esigua della popolazione femminile dedita ad una ricerca spasmodica di una identità fuorviante e distruttiva. Vuole essere un’esortazione al cambiamento, alla ricerca dolorosa ma salvifica della propria anima.



Non era la prima volta che si trovava a fare i conti con un pezzo di merda del genere. L’ennesimo rimprovero. Il capo. Chi? Quel povero imbecille che tutte le mattine sorseggiava il caffè offerto dalla sua segretaria personale, che arrivava e se ne andava a qualsiasi ora, alla barba di tutti i dipendenti. Silvana aveva già incamerato  una bella dose di rabbia e alle 11 del mattino aveva proprio voglia di sputargli in faccia tutto il rancore accumulato in una settimana di lavoro. Per fortuna che domani sarebbe rimasta a casa, anzi no, si sarebbe fatta accompagnare da Mauro all’outlet. Almeno lo stipendio del mese avrebbe avuto un senso. Mentre il capo sbraitava e argomentava sull’increscioso episodio avvenuto proprio quella stessa mattina a causa della sua irrazionale avventatezza nei confronti di una collega dei piani alti, Silvana già costruiva castelli in aria e assaporava il dolce gusto del bancomat inserito nell’apposito aggeggio elettronico. Allora: un tubino stravagante per il prossimo matrimonio degli amici, magari firmato Cavalli. Un paio di sandali con le pietre. Una sciarpa di seta. Una borsa di pelle rossa. Ed infine, dulcis in fundo, un anello d’oro bianco con un brillante incastonato. Erano anni che lo sognava. Di solito si accontentava dell’argento o di bigiotteria di alta qualità. Questa volta, per superare l’arrabbiatura presa in quello stesso istante, avrebbe chiuso un occhio, anzi no, tutti e due. Ma Mauro avrebbe fatto lo stesso? Bisognava trovare il modo giusto per convincerlo. La solita lacrima di coccodrillo forse non avrebbe avuto più lo stesso risultato. Beh, ci avrebbe pensato quella notte…. Gli ultimi completini intimi acquistati l’avrebbero di certo aiutata ad ottenere ciò che desiderava. Ora il capo aveva finito di parlare. Ora toccava a lei. S’inventò al momento delle scuse plausibili per addolcire la situazione. Tanto il capo era un uomo e come tutti gli uomini ci avrebbe creduto. Bene, l’aveva scampata di nuovo, nessuna punizione con la promessa di evitare un simile comportamento la prossima volta. Bye bye amigo! A lunedì! Avrebbe voluto dire a mai più, ma sapeva che non era possibile. Quella faccia del cavolo non si sarebbe cancellata dai suoi giorni a venire.



A casa, ora tornerò a casa. Quante cosa da fare! Ritirare i panni lavati e asciugati, stirare, preparare la cena, lavare i bagni e rifare i letti anche se a quello sicuramente ci aveva già pensato quella logorroica di sua madre. Ma per fortuna che c’era e a qualcosa ancora serviva. Il tempo di una doccia e poi l’attesa con il completino intimo azzurro, anzi no, forse quello rosso era più indicato. Mauro sarebbe arrivato verso le dieci da Firenze, chissà ora dove era. Pensò bene di chiamarlo al cellulare per ascoltare come gli era andata quella giornata lavorativa. Ora si sarebbe dovuta sopportare tutta una serie di chiacchiere su quello che aveva fatto, su chi aveva incontrato, quante macchine aveva venduto e quindi la parte migliore, quanti soldi aveva intascato. Perché diciamoci la verità, a noi donne di oggi, non interessano le coccole e le smancerie scontate, serve un bel gruzzolo in una borsa firmata Martini. Avrebbe fatto benissimo a meno di lui come avrebbe fatto a meno di tutti gli uomini della terra e, a volte, in preda ad una ossessione compulsiva, prendeva la calcolatrice e cercava di calcolare quanto avrebbe ricevuto mensilmente da un divorzio consensuale, ma poi in preda all’ansia, notando la cifra esigua che compariva sul display, faceva retromarcia, ci ripensava e si consolava da sola, ritenendosi fortunata ad avere un “portastipendio” abbastanza remunerativo e coscienzioso … Allora si affacciava alla finestra del suo balcone spoglio e cominciava a respirare la solita aria inquinata di quella città sfavillante in cui vetrine e negozi già baluginavano di smanioso splendore, smanioso come il vuoto che l’accerchiava e quel vuoto doveva essere subito riempito. Non ci pensò un attimo, la cena poteva aspettare, si cambiò con l’ultimo vestito acquistato ed uscì immediatamente da quella prigione per respirare la libertà di uno shopping sfrenato che l’avrebbe salvata dalla sua solitudine, non sapendo che la solitudine, invece, era proprio là fuori, nella giungla di un prezzo altissimo da pagare, quello della propria anima.

Vincenza Fava