Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

martedì 13 dicembre 2011

Melodia

Giovanna viveva di pensieri, anche i più sfocati: l'importante era sentire un movimento minimo dentro la testa. Giovanna viveva di sogni, anche i più assurdi: l'importante era avere visioni nuove del già visto. Giovanna cercava un motivo, anche il più semplice: l'importante era spiegare il come e il perché di ciò che vedeva. Eppure quel giorno, non riusciva a pensare, a sognare e a spiegare: era già tutto lì quello che desiderava e percepì sospirando che stava riuscendo a vivere nell'attimo, a vivere in quel preciso istante senza complicazioni di sorta. Entrando in quella casa, aveva subito intravisto un sogno già fatto e ben scolpito nella mente: ricordava il portone, le scale e i mobili e soprattutto ricordava quell'atmosfera familiare che difficilmente avrebbe dimenticato. Un salto nella mente c'era stato, un volo senza ferite, autocommiserazioni o deliri. Era certa di vedere ben oltre l'apparenza. Ma la mente, si sa, se non tenuta a bada, riesce presto ad imporsi sulle sensazioni istintive: chi è questa persona ... cosa vuole da me ... mi sta prendendo in giro, mi farà soffrire? Saprò difendermi? Riuscirò ad uscire illesa? Sì ... perché le ferite tornavano a galla e brucianti come testimonianze di un timbro a fuoco, in falso accordo con il lavorio della mente, s'imponevano sulle emozioni primordiali, sui sogni e sulle visioni. Il dubbio, quella strana sensazione di stare in due posti nello stesso tempo, racimolava forza e la inghiottiva lentamente nel suo vortice fino a farla scomparire. Era abituata a dileguarsi, lo sapeva fare benissimo; bastava tacere, fare silenzio, evitare gli sguardi, non uscire di casa, coccolare il suo cane e addormentarsi nella penombra delle pareti di quella casa con la sua musica preferita. In quel nascondiglio prendeva coraggio e ritrovava la forza di rialzarsi, di pensare nuovamente, di utilizzare piccole ragioni per continuare ad elemosinare la sua vita, a volte insignificante, a volte troppo piena, a volte troppo vuota. Fissava così i mobili intorno a lei, la loro nauseante staticità, l'immobilismo perfetto del non essere. Divisa, sì si sentiva divisa tra l'andare avanti e il fermarsi, tra il parlare e il tacere, tra lo scrutarsi e il non guardarsi. Lo specchio non poteva spiegarle nulla, era solo un riflesso di materia informe. E non si vedeva come gli altri la vedevano, non si riconosceva nelle loro parole e nei loro volti. Solo quel volto che sembrava riportarla alla realtà e quella voce che sembrava venire dal mondo delle visioni, avrebbero fatto tacere le lacrime dell'inconsistente nostalgia. Così appassita di memorie, ricominciava a sognare e solo quando le visioni avevano raggiunto la massima estensione, si rassegnava a vivere e a capire che nonostante la sua natura fosse tra le più difficili da gestire, poteva ancora fare qualcosa, a dispetto del mondo, a dispetto di tutto quello che la circondava, degli oggetti, dei rumori e delle parole senza significato dei media, dei volti senza contorni. Aspettava così la notte per vivere di sogni e il giorno per dimenticare la vita. E solo nella musica ritrovava gli istanti di un perfetto delirio di pace, il ritrovare la passione, il fuoco delle voci interne, la scelta del presente dimenticando il passato. Nella musica scivolava cone in un sonno profondo, si riappropriava della sua vera essenza, quella che non tutti riuscevano a vedere perché stava ben nascosta dentro il cuore, protetta dal logorio e dalle intemperie del Tempo. La musica era la forza del sentire, erano le emozioni vissute e mai dimenticate, erano i gesti lenti dell'abbandono e i gesti veloci della fuga. Ed una melodia restava spesso a lungo nelle sue orecchie quasi a cullare i pensieri che afferravano il momento e poi fuggivano solerti per lasciarla in uno stato di beata complicità con sé stessa. Con sé stessa, per sempre, ovunque ... perché non c'era migliore spazio per appropriarsi della Vita, difenderla ed amarla nel bene e nel male di ogni scelta, nel giusto e nell'errore, per espandere la coscienza di sé a coscienza del mondo intero, consumando le parole nel canto di un inverno da amare.

Vincenza Fava




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