Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

domenica 17 marzo 2013

Un amore chiamato Michael Jackson



Era il 1984 quando ascoltai per la prima volta Billie Jean di Michael Jackson, avevo solo dodici anni e credevo ancora nelle favole. Thriller fu il mio primo album acquistato insieme a mia sorella per il nuovo impianto Hi-fi regalatoci dai nostri genitori. Ora potevo ascoltarlo tutte le volte che volevo ad altissimo volume in una stanza grande in cui potevo esercitarmi liberamente a ballare come lui. 



Iniziò allora il mio amore per lo spettacolo e non mi vergogno a scriverlo, anche perché oggi posso benissimo comprendere come nell'adolescenza si possano avere modelli non culturalmente elevati ma che ti danno la parvenza di un certo protagonismo narcisistico adatto all'immaturità che fa e segue la moda, insomma per farla breve fu la mia prima cotta, la mia prima proiezione in un oggetto d’amore  il cui corpo costituiva un’unica melodia ritmica con lo spazio che lo circondava. 



Era il tempo dell’immagine, della creazione di un universo migliore rispetto al mondo reale: così mi affrettai anche a comprare un vestito simile, le scarpe dovevano essere uguali e i capelli, beh sì cercai di renderli il più simili possibile. L’amore per la danza c’era sempre stato sin dalla più tenera età e non fu difficile imparare a memoria le sue coreografie che, alla prima occasione di festa ripresentavo tali e quali, orgogliosa degli applausi e dei complimenti. Tutto doveva ancora avvenire e così sognavo quell'avvenire immaginifico su note disco e frenetici movimenti. La vita era un’avventura senza sosta, uno stupore meccanico del corpo che segue il pulsare del sangue. E pensavo, così, infantilmente, quanto poteva essere felice Michael Jackson che aveva tutto quello che si può desiderare: il successo, il talento e la possibilità di metterlo in mostra. Certo è che nell'adolescenza non puoi ancora capire (perlomeno nel mio caso, fanciulla ovattata e viziata) cos'è veramente la Vita, cosa si nasconde effettivamente dietro il sipario: luci e volume fuori, dolore e angoscia dentro. Così crescendo imparai ad ascoltare altro e a fare confronti, ma nel cuore per lungo tempo ci rimase solo lui. E arrivò il periodo di Bad, il 1987: mi piaceva un po’ meno e cominciai a notare i cambiamenti del suo volto, stentavo a riconoscerlo, non capivo il motivo di questa trasformazione e percepivo anche nella danza qualcosa di eccessivamente meccanico e ripetitivo, come dei tic nervosi incontrollabili … eppure anche questa volta mi lasciai trascinare dai suoi stessi tic, sentivo che erano espressione del tempo, quel tempo che stava scorrendo via velocemente proprio come i suoi passi. E poi lui così bad non ce lo vedevo proprio. 



Dell’album preferivo Smooth criminal così come il video: lì la danza sembrava già qualcosa di veramente virtuale, era la danza nella danza, lo spettacolo travestito da spettacolo. Il vestito era irresistibile e me lo feci uno uguale con cappello abbinato e non era per me come mascolinizzarmi, anzi … forse percepivo in profondità la sua recondita femminilità. 



La forza della sua voce si esplicava solo nella canzone Dirty Diana in cui la chitarra di Slash sottolineava le sue amabili grida. 




Ma ormai erano gli anni della mia crescita intellettuale e spirituale e presto lo riposi in un cassetto, cedendo la seduzione dello spettacolo alla ricerca della mia identità. Continuai a seguirlo, anche se in maniera più distaccata … nonostante tutto era stato il mio primo amore. Ritornò sulla scena nel 1991 con l’album Dangerous una vera delizia per continuare a danzare dopo le ore della palestra. E così con Jam, meno spettacolo e più autentico movimento salutare.



 E intanto, il volto di un Peter Pan senza isola, continuava a cambiare. La canzone Heal the world sembrava cantata da un bambino per i bambini: vi coglievo l’innocenza nella sua voce, niente altro, pura e semplice innocenza ed in seguito quando ci fu lo scandalo della sua presunta pedofilia, tornai ad ascoltare questa canzone e capii benissimo dentro di me che un pedofilo non avrebbe mai potuto cantare in modo così candido ed angelico. La sua voce non mentiva. 




Ed i suoi cambiamenti, anche se diversi, procedevano con i miei: così Michael Jackson rimase nel mio cuore come l’esperienza della gioia genuina della vita in divenire che fa spettacolo di sé stessa, rimase lì nel mio cuore con Earth song una canzone di alcuni anni dopo in cui seppi finalmente cogliere tutta la sua tragedia umana sotto il velo spesso dell’apparenza, delle luci e degli applausi. 




Caro Michael Jackson, ora ti vedo in un altro modo perché l’esperienza e la vita mi hanno portato lontano dal mondo sognato, ma ora posso capirti meglio di allora, posso cogliere dietro il fasto la tua tragedia umana ed esistenziale e so che la sofferenza di tutta la terra era ferocemente dentro di te e ha fatto di te un semplice uomo, ultimo tra gli ultimi, ma primo nel paradiso del dolore.

Vincenza Fava

mercoledì 6 marzo 2013

E scorgo

E scorgo, scorgo l'inverno
nei ciottoli di vite appassita
che rimuginano i passi della volpe
quando afferra l'osso della nube
e divora il Tempo
 indomito contenitore di memorie.
E penso, penso
a quest'attimo vorace
d'impressioni scadute.
E m'afferrano,
le mani libere di cercare
su quella sedia bianca
che sul mare galleggia
e porta il peso del cielo.
E guardo, guardo
del volo l'equilibrio
che sostenta e attacca
i bottoni alla mia nuova pelle.
E m'abbandono, m'abbandono
al cerchio agrumato dell'estate
solleticando la primavera
con i pollini del respiro.
E spendo, spendo
in giostre di sorrisi
la stagione del momento
acquietando acque disilluse
distrattamente disancorate
a emollienti, idratanti
sorgenti
di pace.

Vincenza Fava



Foto di Angelo (Pál Funk) (1894-1974): Metafizikus kompozíció, 1955