Plutarco da Vite parallele, Vita di Alessandro Magno
La poesia del tempo è una traccia imperfetta, resti di anima ancorata ai sogni, è un dipinto annebbiato della mente, è una scultura di neve sciolta, è linfa di vita che non muore
domenica 27 dicembre 2015
Scostati un poco dal sole
« Il
re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al
giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso
Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se
aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un poco dal sole". A tale
frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la
grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i
compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo
schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere
Diogene". »
Plutarco da Vite parallele, Vita di Alessandro Magno
Plutarco da Vite parallele, Vita di Alessandro Magno
martedì 22 dicembre 2015
sabato 19 dicembre 2015
venerdì 18 dicembre 2015
giovedì 17 dicembre 2015
mercoledì 16 dicembre 2015
Picture
Farei una fotografia
a questo possibile, eterno
passaggio
se solo si fermasse un istante.
I would do a picture
of this possible eternity
passage
if only were stop for
a moment.
Vincenza Fava
a questo possibile, eterno
passaggio
se solo si fermasse un istante.
I would do a picture
of this possible eternity
passage
if only were stop for
a moment.
Vincenza Fava
domenica 13 dicembre 2015
mercoledì 9 dicembre 2015
Overseas
look overseas
we'll play with the moon
in the name of the sea
I'll see you soon
the expectation
makes us free
Vincenza Fava
martedì 8 dicembre 2015
A Babbo Natale
Caro Babbo Natale
so che sei in pensione per me da tanti anni. Da troppo tempo ormai non aspetto più doni sotto l’alberello addobbato come un clown dai mille colori, la punta rossa è il tuo naso da ubriacone perché se è vero che dovresti essere a riposo, è anche vero che non ti danno manco un soldo per arrivare con le renne fin quaggiù dal polo nord. E ti perdi nell’alcol, nei quaranta gradi che al contrario sognavi di godere alle Hawaii dopo tanto lavoro. Ma come Matusalemme ti sei rinchiuso in un igloo per non vedere più le facce dei bambini di oggi. Qui da noi sono troppo esigenti, costano troppo: cellulari di ultima generazione o play station con giochetti in 3D per simulare la vita vera. Lo so, sei stanco e preferisci non donare più niente a chi non s’accontenta o a chi non dice grazie per poter mangiare ancora un panettone. Ti piace la democrazia e visto che al mondo non esiste più hai pensato bene di dire: o a tutti o a nessuno. E siccome la prima opzione era troppo dispendiosa per le tue tasche, hai deciso per la seconda. A nessuno il dono finché qualcuno, hai detto, almeno uno su questa terra, non riuscirà a capire cos’è veramente un dono. E forse, ti ho capito, vorresti una lacrima di gioia al posto di tante lacrime d’insoddisfazione e anche di guerra. Perché, dico, ma ci hai visti bene come ci comportiamo? Sì, che lo hai visto e l’unica cosa che puoi fare è aspettare. Non siamo mica più noi che ti aspettiamo. Per noi non esisti. E tu sei in stand by. La tua attesa è lo stesso silenzio che ascoltiamo la sera quando andiamo a dormire e supplichiamo un dio sconosciuto di darci la fede. E la coscienza impallidisce. Siamo tanti, siamo milioni, quasi come le stelle di Negroni. Ma a te non piacciono gli spot: mica c’è più tanto da scherzare. Hai ragione. Ti chiedo scusa. Non c’è più tanto tempo, tra qualche anno dovrai costruirti una bella arca, proprio come quella di Noè, per lo scioglimento dei ghiacciai. Addio fabbrica di giocattoli. Addio barba bianca. Ti abbiamo inventato noi o sei tu che in un attimo di follia hai creato questo strano marchingegno pensante? È nato prima l’uovo o la gallina? La solita stupida domanda. Vedi? Non smetto di scherzare con le parole, che brutto vizio! Perché quella sera, durante quel bellissimo Natale di tanti anni fa, quando avevo solo sei anni, tu sei arrivato a mezzanotte e mi ricordo bene le tue parole: “Ecco il mio dono: solo un sorriso. Gioisci della vita”. Ecco ti prego solo di fare un ultimo sforzo e di riportarmi quel sorriso. Io t’aspetto e già ti vedo: senza un soldo e senza sacco. Se può confortarti, siamo quasi tutti nella stessa barca. Non portare nulla a chi c’ha il ventre gonfio perché ha spompato il ventre degli altri. Non portare nulla a chi gode di morte vita. Ai bombardieri, agli assassini, ai ladri, a chi manca di rispetto: porta soltanto la loro coscienza, così, giusto per fargliela vedere. Basta poco. Ecco, questo sarebbe il dono più grande: una fabbrica di specchi per la coscienza. E mi raccomando, non t’arrabbiare più di tanto: se la pensione non ti spetta è perché sei stato troppo onesto e troppo buono. Esci da quell’igloo e torna a cantare la purezza. Ci basta un sorriso e batti un colpo, ma batti forte perché ormai siamo tutti sordi, ci hanno confuso tutti questi fuochi d’artificio. Ci vuole un fuoco vero per scaldare i cuori. Un unico grande falò per tutta l’umanità.
so che sei in pensione per me da tanti anni. Da troppo tempo ormai non aspetto più doni sotto l’alberello addobbato come un clown dai mille colori, la punta rossa è il tuo naso da ubriacone perché se è vero che dovresti essere a riposo, è anche vero che non ti danno manco un soldo per arrivare con le renne fin quaggiù dal polo nord. E ti perdi nell’alcol, nei quaranta gradi che al contrario sognavi di godere alle Hawaii dopo tanto lavoro. Ma come Matusalemme ti sei rinchiuso in un igloo per non vedere più le facce dei bambini di oggi. Qui da noi sono troppo esigenti, costano troppo: cellulari di ultima generazione o play station con giochetti in 3D per simulare la vita vera. Lo so, sei stanco e preferisci non donare più niente a chi non s’accontenta o a chi non dice grazie per poter mangiare ancora un panettone. Ti piace la democrazia e visto che al mondo non esiste più hai pensato bene di dire: o a tutti o a nessuno. E siccome la prima opzione era troppo dispendiosa per le tue tasche, hai deciso per la seconda. A nessuno il dono finché qualcuno, hai detto, almeno uno su questa terra, non riuscirà a capire cos’è veramente un dono. E forse, ti ho capito, vorresti una lacrima di gioia al posto di tante lacrime d’insoddisfazione e anche di guerra. Perché, dico, ma ci hai visti bene come ci comportiamo? Sì, che lo hai visto e l’unica cosa che puoi fare è aspettare. Non siamo mica più noi che ti aspettiamo. Per noi non esisti. E tu sei in stand by. La tua attesa è lo stesso silenzio che ascoltiamo la sera quando andiamo a dormire e supplichiamo un dio sconosciuto di darci la fede. E la coscienza impallidisce. Siamo tanti, siamo milioni, quasi come le stelle di Negroni. Ma a te non piacciono gli spot: mica c’è più tanto da scherzare. Hai ragione. Ti chiedo scusa. Non c’è più tanto tempo, tra qualche anno dovrai costruirti una bella arca, proprio come quella di Noè, per lo scioglimento dei ghiacciai. Addio fabbrica di giocattoli. Addio barba bianca. Ti abbiamo inventato noi o sei tu che in un attimo di follia hai creato questo strano marchingegno pensante? È nato prima l’uovo o la gallina? La solita stupida domanda. Vedi? Non smetto di scherzare con le parole, che brutto vizio! Perché quella sera, durante quel bellissimo Natale di tanti anni fa, quando avevo solo sei anni, tu sei arrivato a mezzanotte e mi ricordo bene le tue parole: “Ecco il mio dono: solo un sorriso. Gioisci della vita”. Ecco ti prego solo di fare un ultimo sforzo e di riportarmi quel sorriso. Io t’aspetto e già ti vedo: senza un soldo e senza sacco. Se può confortarti, siamo quasi tutti nella stessa barca. Non portare nulla a chi c’ha il ventre gonfio perché ha spompato il ventre degli altri. Non portare nulla a chi gode di morte vita. Ai bombardieri, agli assassini, ai ladri, a chi manca di rispetto: porta soltanto la loro coscienza, così, giusto per fargliela vedere. Basta poco. Ecco, questo sarebbe il dono più grande: una fabbrica di specchi per la coscienza. E mi raccomando, non t’arrabbiare più di tanto: se la pensione non ti spetta è perché sei stato troppo onesto e troppo buono. Esci da quell’igloo e torna a cantare la purezza. Ci basta un sorriso e batti un colpo, ma batti forte perché ormai siamo tutti sordi, ci hanno confuso tutti questi fuochi d’artificio. Ci vuole un fuoco vero per scaldare i cuori. Un unico grande falò per tutta l’umanità.
Vincenza Fava (bambina)
Capelli
Io senza capelli
Sono una pagina senza quadretti
Un profumo senza bottiglia
Una porta chiusa senza la maniglia
Biglia senza pista
Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca
Don Giovanni senza una tresca
Io senza te uno scettro senza re
Non voglio più chiedere scusa
Se sulla testa porto questa specie di medusa
O foresta
Non è soltanto un segno
Di protesta
Ma è un rifugio per gli insetti
Un nido per gli uccelli
Che si amano tranquilli fra i miei pensieri
e il cielo
Sono la parte di me che
Mi assomiglia di più
Io vivo sempre insieme ai miei capelli.
https://www.youtube.com/watch?v=hOFzH4sQg4A
Sono una pagina senza quadretti
Un profumo senza bottiglia
Una porta chiusa senza la maniglia
Biglia senza pista
Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca
Don Giovanni senza una tresca
Io senza te uno scettro senza re
Non voglio più chiedere scusa
Se sulla testa porto questa specie di medusa
O foresta
Non è soltanto un segno
Di protesta
Ma è un rifugio per gli insetti
Un nido per gli uccelli
Che si amano tranquilli fra i miei pensieri
e il cielo
Sono la parte di me che
Mi assomiglia di più
Io vivo sempre insieme ai miei capelli.
https://www.youtube.com/watch?v=hOFzH4sQg4A
Ritratto
Vederti e vedermi
complici nel disincanto
vestiti dello stesso tramonto.
Faremo un ritratto all'anima.
See you and see me
accomplices disillusioned
dressed with the same sunset.
We'll do a portrait soul.
Vincenza Fava
(ph. Quinto Ficari)
complici nel disincanto
vestiti dello stesso tramonto.
Faremo un ritratto all'anima.
See you and see me
accomplices disillusioned
dressed with the same sunset.
We'll do a portrait soul.
Vincenza Fava
(ph. Quinto Ficari)
Vincenza Fava - La ragazza che non sapeva inginocchiarsi
Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo.
Etty Hillesum, Diario (Adelphi, 2012, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone)
https://www.youtube.com/watch?v=u_V2KYbOc8Q
Tu che non parli
Il video vuole sottolineare la ricerca estenuante della comunicazione
nel mondo contemporaneo. La solitudine dell’uomo moderno si concretizza
nel silenzio. La domanda incalzante: “Dillo tu che non parli” esorta
l’eventuale interlocutore a vedere oltre le maschere che quotidianamente
indossiamo per dare un volto e occhi alle parole. Immersi nel virtuale
dimentichiamo addirittura di dare un nome al silenzio che ci inghiotte
tranquillamente relegandoci un ruolo marginale e passivo. Di qui
l’esortazione al contatto (le mani che si stringono) e all’azione per
non cadere nella trappola dell’odio che consuma e seppellisce, perché il
cuore abbia ancora la sua autentica voce.
The video underlines the
exhausting search of communication in the modern world. The loneliness of modern man is on the silence of
virtual images. Hence the exhortation to contact
(shaking hands) and
action to avoid falling into the trap of hatred that consumes and
buries because the heart still has its authentic voice.
giovedì 3 dicembre 2015
Recensione Binari storti
Recensione di Fabrizio Raccis su Binari storti
http://www.leggereacolori.com/leggere-a-colori/recensione-di-binari-storti-di-vincenza-fava/
martedì 1 dicembre 2015
Piripicchio
Non amo molto la carne di pollo, anzi non la amo affatto:
riconosco l’odore di pennuto spennato in padella a cento metri di distanza.
Questo mio rifiuto forse risale all’età dell’infanzia e ad altre disavventure
culinarie dell’età matura: d’estate trascorrevo pomeriggi interi nel pollaio a
spargere chicchi di grano a destra e a manca. Mi divertivo a veder correre le
gallinelle ancora vergini (ancora poco lontano il tempo dei coccodè doloranti)
a cercare di beccare per prime la manna volante, mentre con le ali spiegate
compivano giri incredibili su se stesse. E il gallo le chiamava, come un basso
continuo, per mostrare la futura galanteria che avrebbe riservato in maggior
misura alle damigelle del suo reame. Per non parlare dei pulcini, teneri e
coccolosi, pigolosi e morbidosi, meglio dei peluches immobili e impolverati che
dormivano tutto il giorno sugli scaffali della mia cameretta fucsia e bianca; ma
le tende erano bianche con mille bolle blu, tanto che ogni volta, prima di
addormentarmi alla luce soft del mio abat-jour, canticchiavo sottovoce la famosa
melodia di Mina, cercando di imitare con le mani fuori dal letto i movimenti
ondulatori delle sue mani e cercavo di acciuffare anche il silenzio coatto che
seguiva e precedeva l’abbandono tra le braccia di Morfeo. Che i bambini mica
vorrebbero dormire mai… come se fosse
sempre la vigilia di Natale. Insomma in una fredda domenica mattina di febbraio
che mi vedeva ancora sognare eroi ed eroine, bambole e biciclette, cartoline e
figurine, piombò nel mio letto dalle mani di mio padre, un piccolo esserino
semimorto, la testa ciondoloni, giallo e un po’ bagnato. “Tienilo sotto le
coperte al caldo con te per un po’, forse si riprenderà, la madre lo ha
abbandonato e ha trascorso tutta la notte da solo, al freddo e al gelo” disse
mio padre. Pensai subito al bambino Gesù e capii che mi era stato chiesto di essere
come il bue e l’asinello nella grotta di Betlemme. Era una grande
responsabilità e mi sentivo importante: così misi il pulcino sotto le coperte e
cominciai a espirare aria calda dalla bocca. Dopo pochi minuti il cuccioletto
aprì gli occhi e mi guardò fissamente, quindi cominciò a pigolare. Era vivo e
io felice e ancor più felice quando compresi che ormai mi considerava la sua
mamma. Gli diedi un nome: Piripicchio. Da quel momento ovunque io andassi, lui
veniva dietro di me, mi rincorreva e quando mi fermavo, lui si fermava,
aspettava ogni mio movimento. Arrivò la primavera e poi l’estate: Piripicchio
aveva imparato a stare sulla mia spalla, anche quando andavo in bicicletta,
anche quando andavo a trovare i miei cugini e le mie cugine. Si divertivano un
mondo a vedere tutto quello che gli avevo insegnato. Io e Piripicchio eravamo
ormai inseparabili. Lui intanto cresceva e il piumaggio giallognolo era caduto,
lasciando il posto a piume e penne dalle sfumature variegate come un arcobaleno
e una piccola cresta rossa sporgeva dalla sua piccola testa rotonda. L’estate
dei miei sette anni fu una delle più belle della mia infanzia. Non voglio
raccontare il seguito, non mi piace, voglio tacerlo, ma forse si può benissimo
immaginare. Da allora non riesco a mangiare la carne di pollo. Ricordo
benissimo l’odore di un galletto vivo, non voglio ricordare l’odore della sua
carne in padella condita di aglio, olio e pomodorini. Piripicchio non aveva le
misure giuste per diventare il re del pollaio e in fondo ho sempre pensato che
la fortuna fosse solo una questione di numeri. Mezzo centimetro in più e stai oltre il
fossato, mezzo centimetro in meno e ci stai dentro, con tutte le piume.
Vincenza Fava
mercoledì 25 novembre 2015
Quando la bellezza è un cono gelato
Ti stanno
prendendo in giro, non lo vedi? Ma forse la vanità ti ha cucito gli occhi con
lo spago e poi tu che fai? Rispondi ‘grazie, ah certo, ora ho capito tutto, non
è che ti piace ringraziare, ti piace conquistare e la cosa è molto diversa,
pensi di essere una diva sul tappeto rosso all’uscita dell’ultimo film: sguardo
ammiccante, sopracciglio scolpito, labbra fiammanti. Tutti a fotografare, tutti
a chiamare, ehi, guarda qui, qui, verso di me, alza il viso, mettiti di
profilo, ora cammina, ora siediti! Bambolina di gomma, bambolina che sorride
con la bocca disegnata a cuore, con quel sorriso falso e innaturale! Tanto lo
so che sei una povera infelice e che senza di me sei doppio zero come la
farina, ahahahah! Ma come sono bravo a fare simpatiche similitudini non trovi?
E poi so anche che in fondo dentro sei solo una puttana perché ti piace quando te
lo dico sottovoce, ti eccita, ti schiaffeggerei fino a farti sanguinare così
forse potrei finalmente vedere se il tuo sangue è veramente vermiglia passione.
Ti metti i tacchi e per fare cosa? Per sembrare più alta? Ah beh cara, forse
non hai capito una cosa, le altezze si raggiungono solo con l’anima, l’uomo
vero è un uomo verticale, uno che dedica il proprio pensiero costantemente a
Dio, all’anima, all’arte e alla poesia. A questo punto mi viene da pensare che
una bella donna invece è nata solo per stare orizzontale in un mare di lussuria
per farsi poi pescare dal primo venuto, come sarà che alla fine abbocca sempre
all’amo, specialmente se è un amo ricco, con un’esca succulenta, ignorando il
fatto chiaro ed evidente che dietro ci sono sempre bisturi affilati! Tanto lo
so che mi lascerai un giorno, mica sono scemo, eh no!!! Io non sono stupido.
T’ho sentito al telefono l’altro giorno, sai? Usavi quello stupido linguaggio
da gatta morta e con chi? Non me lo hai detto, non me lo hai voluto dire, ma
io, non essendo per natura imbecille, anzi, sono consapevole del fatto di
essere molto intelligente e non è vanità questa, ma solo una constatazione di
fatto, ho capito subito, ho capito che te la fai con quello lì che ti scrive
buongiorno tutti i santi giorni su Facebook, quello che clicca mi piace a tutte
le tue foto da modella e ti manda i cuoricini, ma non ti rendi conto che così
facendo diventerai mercanzia scaduta nel giro di poco tempo? Te l’ho detto
migliaia di volte: bisogna saper usare con intelligenza i social-network. Vedi
me per esempio, lo utilizzo solo per pubblicizzare il mio lavoro, la mia arte.
Sì arte, la chiamo così e ne vado fiero. In giro ci sono tantissimi mentecatti
che pensano di essere artisti e invece nascondono solo falsità e immondizia,
forse proprio come te... Ma loro mica lo sanno che l’arte è sacrificio e
dedizione, è raggiungere un obiettivo più grande di noi stessi, è crederci fino
alla fine, fino al midollo e tu che fai? Metti continuamente foto, pensieri
sciocchi e stupidi solo per avere il consenso superficiale dei tuoi fan! E i
tuoi post sul femminicidio! Non voglio neanche commentarli o guardarli, sempre
questa storia: femmine uccise (di solito sempre belle gnocche, ma mi dico e mi
chiedo, sempre totalmente sante e innocenti?), ma non senti come stona anche la
parola? Pronunciala, anzi no, ti faccio io lo spelling:
F-E-M-M-I-N-I-C-I-D-I-O. Allora, per concludere il mio sofisma, le donne stesse
pensano di essere femmine niente altro che femmine. Siete voi che vi insultate
da sole e poi ve la prendete con gli uomini e li accusate di razzismo,
violenza, stalking e via dicendo. Al limite si dovrebbe parlare di ‘donnicidio’
esaltando la comunanza con l’omicidio, ragiona con me. Volete la parità.
Eccola, si può risolvere con un termine più azzeccato. E poi è solo una mossa
politica per smuovere i cuori delle donne frustrate e vittime, casalinghe belle
ma inconcludenti nella vita, quelle che non hanno mai imparato l’arte di essere
autentiche: una bella donna uccisa, una lacrimuccia, un po’ di pubblicità sui
mass-media e un voto assicurato. Dio mio… non ti rendi conto… come mi fai pena,
sì io sto sprecando tempo e voce per te, cerco di aiutarti, non lo capisci… e
tu che fai? Ti guardi ancora in quello stupido specchio, eh sì pensi di essere
bella e femmina! Cosa pensi di vedere, una dea santificata dalla massa dei
coglioni? Non è questa la strada per andare in paradiso, povera illusa! Io ti
ho dato tutto, me stesso, il mio sostegno, il mio tempo, i miei consigli e tu
non mi ascolti! Eh, è il colmo questo, ma cosa devo fare con te, amore, me lo
dici una buona volta cosa devo fare con te? Sì amore… dai vieni qui, scusami
non volevo, che fai piangi adesso? Ma no, dai, che cosa ho detto di male… lo
sai che ti amo e ti voglio solo aiutare, devi solo credere in me, tutto qua, le
cose che ti dico sono solo a fin di bene, innanzitutto per te perché non voglio
che tu venga considerata una donna facile, poi per darti dignità e soprattutto
per noi… noi, noi, non è una parola magica? Dai, vestiti, basta con la
tristezza, asciuga le lacrime e andiamo a prendere un gelato, quello che piace
tanto a te e poi non dire che non ti vizio! E a proposito di gelato… ti
consiglio di prendere una bella coppetta, evita il cono, non si sa mai, i ‘voyeurs’
sono sempre in agguato!
Vincenza Fava dall'antologia Sono bella ma non è colpa mia, Fusibilia, 2013
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