Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

martedì 8 dicembre 2015

A Babbo Natale





Caro Babbo Natale

so che sei in pensione per me da tanti anni. Da troppo tempo ormai non aspetto più doni sotto l’alberello addobbato come un clown dai mille colori, la punta rossa è il tuo naso da ubriacone perché se è vero che dovresti essere a riposo, è anche vero che non ti danno manco un soldo per arrivare con le renne fin quaggiù dal polo nord. E ti perdi nell’alcol, nei quaranta gradi che al contrario sognavi di godere alle Hawaii dopo tanto lavoro. Ma come Matusalemme ti sei rinchiuso in un igloo per non vedere più le facce dei bambini di oggi. Qui da noi sono troppo esigenti, costano troppo: cellulari di ultima generazione o play station con giochetti in 3D per simulare la vita vera. Lo so, sei stanco e preferisci non donare più niente a chi non s’accontenta o a chi non dice grazie per poter mangiare ancora un panettone. Ti piace la democrazia e visto che al mondo non esiste più hai pensato bene di dire: o a tutti o a nessuno. E siccome la prima opzione era troppo dispendiosa per le tue tasche, hai deciso per la seconda. A nessuno il dono finché qualcuno, hai detto, almeno uno su questa terra, non riuscirà a capire cos’è veramente un dono. E forse, ti ho capito, vorresti una lacrima di gioia al posto di tante lacrime d’insoddisfazione e anche di guerra. Perché, dico, ma ci hai visti bene come ci comportiamo? Sì, che lo hai visto e l’unica cosa che puoi  fare è aspettare. Non siamo mica più noi che ti aspettiamo. Per noi non esisti. E tu sei in stand by. La tua attesa è lo stesso silenzio che ascoltiamo la sera quando andiamo a dormire e supplichiamo un dio sconosciuto di darci la fede. E la coscienza impallidisce. Siamo tanti, siamo milioni, quasi come le stelle di Negroni. Ma a te non piacciono gli spot: mica c’è più tanto da scherzare. Hai ragione. Ti chiedo scusa. Non c’è più tanto tempo, tra qualche anno dovrai costruirti una bella arca, proprio come quella di Noè, per lo scioglimento dei ghiacciai. Addio fabbrica di giocattoli. Addio barba bianca. Ti abbiamo inventato noi o sei tu che in un attimo di follia hai creato questo strano marchingegno pensante? È nato prima l’uovo o la gallina? La solita stupida domanda.  Vedi? Non smetto di scherzare con le parole, che brutto vizio! Perché quella sera, durante quel bellissimo Natale di tanti anni fa, quando avevo solo sei anni, tu sei arrivato a mezzanotte e mi ricordo bene le tue parole: “Ecco il mio dono: solo un sorriso. Gioisci della vita”. Ecco ti prego solo di fare un ultimo sforzo e di riportarmi quel sorriso. Io t’aspetto e già ti vedo: senza un soldo e senza sacco. Se può confortarti, siamo quasi tutti nella stessa barca. Non portare nulla a chi c’ha il ventre gonfio perché ha spompato il ventre degli altri. Non portare nulla a chi gode di morte vita. Ai bombardieri, agli assassini, ai ladri, a chi manca di rispetto: porta soltanto la loro coscienza, così, giusto per fargliela vedere. Basta poco. Ecco, questo sarebbe il dono più grande: una fabbrica di specchi per la coscienza. E mi raccomando, non t’arrabbiare più di tanto: se la pensione non ti spetta è perché sei stato troppo onesto e troppo buono. Esci da quell’igloo e torna a cantare la purezza. Ci basta un sorriso e batti un colpo, ma batti forte perché ormai siamo tutti sordi, ci hanno confuso tutti questi fuochi d’artificio. Ci vuole un fuoco vero per scaldare i cuori. Un unico grande falò per tutta l’umanità.  

Vincenza Fava (bambina)

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