Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

domenica 27 dicembre 2015

Scostati un poco dal sole

« Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un poco dal sole". A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene". »

Plutarco da Vite parallele, Vita di Alessandro Magno



mercoledì 16 dicembre 2015

Picture

Farei una fotografia
a questo possibile, eterno
passaggio
se solo si fermasse un istante.

I would do a picture 
of this possible eternity 
passage 
if only were stop for 
a moment.

Vincenza Fava 


mercoledì 9 dicembre 2015

Non dimenticarti

Una poesia inedita di Vincenza Fava



Overseas



look overseas
we'll play with the moon
in the name of the sea
I'll see you soon
the expectation  

makes us free

Vincenza Fava  



martedì 8 dicembre 2015

A Babbo Natale





Caro Babbo Natale

so che sei in pensione per me da tanti anni. Da troppo tempo ormai non aspetto più doni sotto l’alberello addobbato come un clown dai mille colori, la punta rossa è il tuo naso da ubriacone perché se è vero che dovresti essere a riposo, è anche vero che non ti danno manco un soldo per arrivare con le renne fin quaggiù dal polo nord. E ti perdi nell’alcol, nei quaranta gradi che al contrario sognavi di godere alle Hawaii dopo tanto lavoro. Ma come Matusalemme ti sei rinchiuso in un igloo per non vedere più le facce dei bambini di oggi. Qui da noi sono troppo esigenti, costano troppo: cellulari di ultima generazione o play station con giochetti in 3D per simulare la vita vera. Lo so, sei stanco e preferisci non donare più niente a chi non s’accontenta o a chi non dice grazie per poter mangiare ancora un panettone. Ti piace la democrazia e visto che al mondo non esiste più hai pensato bene di dire: o a tutti o a nessuno. E siccome la prima opzione era troppo dispendiosa per le tue tasche, hai deciso per la seconda. A nessuno il dono finché qualcuno, hai detto, almeno uno su questa terra, non riuscirà a capire cos’è veramente un dono. E forse, ti ho capito, vorresti una lacrima di gioia al posto di tante lacrime d’insoddisfazione e anche di guerra. Perché, dico, ma ci hai visti bene come ci comportiamo? Sì, che lo hai visto e l’unica cosa che puoi  fare è aspettare. Non siamo mica più noi che ti aspettiamo. Per noi non esisti. E tu sei in stand by. La tua attesa è lo stesso silenzio che ascoltiamo la sera quando andiamo a dormire e supplichiamo un dio sconosciuto di darci la fede. E la coscienza impallidisce. Siamo tanti, siamo milioni, quasi come le stelle di Negroni. Ma a te non piacciono gli spot: mica c’è più tanto da scherzare. Hai ragione. Ti chiedo scusa. Non c’è più tanto tempo, tra qualche anno dovrai costruirti una bella arca, proprio come quella di Noè, per lo scioglimento dei ghiacciai. Addio fabbrica di giocattoli. Addio barba bianca. Ti abbiamo inventato noi o sei tu che in un attimo di follia hai creato questo strano marchingegno pensante? È nato prima l’uovo o la gallina? La solita stupida domanda.  Vedi? Non smetto di scherzare con le parole, che brutto vizio! Perché quella sera, durante quel bellissimo Natale di tanti anni fa, quando avevo solo sei anni, tu sei arrivato a mezzanotte e mi ricordo bene le tue parole: “Ecco il mio dono: solo un sorriso. Gioisci della vita”. Ecco ti prego solo di fare un ultimo sforzo e di riportarmi quel sorriso. Io t’aspetto e già ti vedo: senza un soldo e senza sacco. Se può confortarti, siamo quasi tutti nella stessa barca. Non portare nulla a chi c’ha il ventre gonfio perché ha spompato il ventre degli altri. Non portare nulla a chi gode di morte vita. Ai bombardieri, agli assassini, ai ladri, a chi manca di rispetto: porta soltanto la loro coscienza, così, giusto per fargliela vedere. Basta poco. Ecco, questo sarebbe il dono più grande: una fabbrica di specchi per la coscienza. E mi raccomando, non t’arrabbiare più di tanto: se la pensione non ti spetta è perché sei stato troppo onesto e troppo buono. Esci da quell’igloo e torna a cantare la purezza. Ci basta un sorriso e batti un colpo, ma batti forte perché ormai siamo tutti sordi, ci hanno confuso tutti questi fuochi d’artificio. Ci vuole un fuoco vero per scaldare i cuori. Un unico grande falò per tutta l’umanità.  

Vincenza Fava (bambina)

Capelli

Io senza capelli
Sono una pagina senza quadretti
Un profumo senza bottiglia
Una porta chiusa senza la maniglia
Biglia senza pista
Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca
Don Giovanni senza una tresca
Io senza te uno scettro senza re

Non voglio più chiedere scusa
Se sulla testa porto questa specie di medusa
O foresta
Non è soltanto un segno
Di protesta
Ma è un rifugio per gli insetti
Un nido per gli uccelli
Che si amano tranquilli fra i miei pensieri
e il cielo
Sono la parte di me che
Mi assomiglia di più
Io vivo sempre insieme ai miei capelli.

https://www.youtube.com/watch?v=hOFzH4sQg4A

Ritratto

Vederti e vedermi
complici nel disincanto
vestiti dello stesso tramonto.
Faremo un ritratto all'anima. 


See you and see me 
accomplices disillusioned 
dressed with the same sunset. 
We'll do a portrait soul.

Vincenza Fava 

(ph. Quinto Ficari)

Vincenza Fava - La ragazza che non sapeva inginocchiarsi



Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo. 

 

Etty Hillesum, Diario  (Adelphi, 2012, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone)


https://www.youtube.com/watch?v=u_V2KYbOc8Q

 

 

 

Tu che non parli

 Il video vuole sottolineare la ricerca estenuante della comunicazione nel mondo contemporaneo. La solitudine dell’uomo moderno si concretizza nel silenzio. La domanda incalzante: “Dillo tu che non parli” esorta l’eventuale interlocutore a vedere oltre le maschere che quotidianamente indossiamo per dare un volto e occhi alle parole. Immersi nel virtuale dimentichiamo addirittura di dare un nome al silenzio che ci inghiotte tranquillamente relegandoci un ruolo marginale e passivo. Di qui l’esortazione al contatto (le mani che si stringono) e all’azione per non cadere nella trappola dell’odio che consuma e seppellisce, perché il cuore abbia ancora la sua autentica voce.




The video underlines the exhausting search of communication in the modern world. The loneliness of modern man is on the silence of virtual images. Hence the exhortation to contact (shaking hands) and action to avoid falling into the trap of hatred that consumes and buries because the heart still has its authentic voice.





martedì 1 dicembre 2015

Piripicchio



Non amo molto la carne di pollo, anzi non la amo affatto: riconosco l’odore di pennuto spennato in padella a cento metri di distanza. Questo mio rifiuto forse risale all’età dell’infanzia e ad altre disavventure culinarie dell’età matura: d’estate trascorrevo pomeriggi interi nel pollaio a spargere chicchi di grano a destra e a manca. Mi divertivo a veder correre le gallinelle ancora vergini (ancora poco lontano il tempo dei coccodè doloranti) a cercare di beccare per prime la manna volante, mentre con le ali spiegate compivano giri incredibili su se stesse. E il gallo le chiamava, come un basso continuo, per mostrare la futura galanteria che avrebbe riservato in maggior misura alle damigelle del suo reame. Per non parlare dei pulcini, teneri e coccolosi, pigolosi e morbidosi, meglio dei peluches immobili e impolverati che dormivano tutto il giorno sugli scaffali della mia cameretta fucsia e bianca; ma le tende erano bianche con mille bolle blu, tanto che ogni volta, prima di addormentarmi alla luce soft del mio abat-jour, canticchiavo sottovoce la famosa melodia di Mina, cercando di imitare con le mani fuori dal letto i movimenti ondulatori delle sue mani e cercavo di acciuffare anche il silenzio coatto che seguiva e precedeva l’abbandono tra le braccia di Morfeo. Che i bambini mica vorrebbero dormire mai…  come se fosse sempre la vigilia di Natale. Insomma in una fredda domenica mattina di febbraio che mi vedeva ancora sognare eroi ed eroine, bambole e biciclette, cartoline e figurine, piombò nel mio letto dalle mani di mio padre, un piccolo esserino semimorto, la testa ciondoloni, giallo e un po’ bagnato. “Tienilo sotto le coperte al caldo con te per un po’, forse si riprenderà, la madre lo ha abbandonato e ha trascorso tutta la notte da solo, al freddo e al gelo” disse mio padre. Pensai subito al bambino Gesù e capii che mi era stato chiesto di essere come il bue e l’asinello nella grotta di Betlemme. Era una grande responsabilità e mi sentivo importante: così misi il pulcino sotto le coperte e cominciai a espirare aria calda dalla bocca. Dopo pochi minuti il cuccioletto aprì gli occhi e mi guardò fissamente, quindi cominciò a pigolare. Era vivo e io felice e ancor più felice quando compresi che ormai mi considerava la sua mamma. Gli diedi un nome: Piripicchio. Da quel momento ovunque io andassi, lui veniva dietro di me, mi rincorreva e quando mi fermavo, lui si fermava, aspettava ogni mio movimento. Arrivò la primavera e poi l’estate: Piripicchio aveva imparato a stare sulla mia spalla, anche quando andavo in bicicletta, anche quando andavo a trovare i miei cugini e le mie cugine. Si divertivano un mondo a vedere tutto quello che gli avevo insegnato. Io e Piripicchio eravamo ormai inseparabili. Lui intanto cresceva e il piumaggio giallognolo era caduto, lasciando il posto a piume e penne dalle sfumature variegate come un arcobaleno e una piccola cresta rossa sporgeva dalla sua piccola testa rotonda. L’estate dei miei sette anni fu una delle più belle della mia infanzia. Non voglio raccontare il seguito, non mi piace, voglio tacerlo, ma forse si può benissimo immaginare. Da allora non riesco a mangiare la carne di pollo. Ricordo benissimo l’odore di un galletto vivo, non voglio ricordare l’odore della sua carne in padella condita di aglio, olio e pomodorini. Piripicchio non aveva le misure giuste per diventare il re del pollaio e in fondo ho sempre pensato che la fortuna fosse solo una questione di numeri. Mezzo centimetro in più e stai oltre il fossato, mezzo centimetro in meno e ci stai dentro, con tutte le piume. 

Vincenza Fava