Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

mercoledì 31 ottobre 2012

Apologia del cane



Sono cinica perché mi difendo dal pregiudizio e dalla noncuranza all'elezione asimmetrica del sentimento, sono il "cane" da Diogene ereditato, vago sciolta con la lanterna in mano, a cercare la piccola luce fioca di un sentire perso nelle chiacchiere di un provincialismo falsamente asessuato. Tuttavia, mi giro intorno e il sesso è ovunque, nelle pseudo-famiglie vendute al formalismo, nelle voci virtuali di chi la libertà se la prende solo dietro una maschera di pixel, nelle facce inorridite di chi crede di guardare in alto, ma osserva solo il dito e non vede la luna. Sono il cane che fedelmente scodinzola a sé stesso perché ha imparato a riconoscere il padrone e in quella voce sa di trovare un piatto caldo per l'anima ... fuori le magagne, fuori le stronzate, fuori chi scopa e vede soltanto gli altri scopare. No, non auto-censuratevi, non vi conviene, perché gli occhi la dicon più delle parole. E l'esperienza insegna in questo Belpaese che maltratta le speranze e la lucidità onnivora di chi ama sognare. Fuori il bigottismo e l'ottusa reminiscenza di una borghesia fascista. Fuori il comunismo, solo Gesù Cristo ne era degno portavoce. Fuori le oche dal Campidoglio, non serve gridare, il lupo già vi ha fatto prede sconsiderate. Non chiedetemi di amare, qui non esiste l'amore se chi ha fatto giuramento a Ippocrate continua a prescrivere medicine letali, se chi cerca il prossimo per l'egoismo del momento sputa in faccia alla compassione, se chi cerca la sottomissione per un fottuto stipendio vende l'anima al tradimento del fratello. No, non chiedetemi di amare questo mondo, sono il cane che ama sé stesso e il mio latrato morderà solo le parole, quelle stupide parole che saranno pane per vivere il mio domani. Professo l'elegante accorgimento dell'indifferenza, il dadaismo del futuro e balbetto sintagmi slegati da logiche opportuniste ed evito di chinarmi, c'è sempre qualcuno che amando il tuo fondoschiena, non esiterebbe a violentare l'ultima essenza delle tue nascoste oscurità.

Vincenza Fava

domenica 21 ottobre 2012

A mio padre

Ti ho atteso
nella penombra della sera
quando
davanti ad una tenda
disegnavo con le mani
fanciullesche visioni di embrioni
e fantasie popolate da infiniti numeri
di terre senza polvere.
Ti ho atteso
a malapena sorridendo
con i fiori in mano,
di aridi estati
sorseggiando
libri e poesie
che di affetto lontano
mi restituivano l'amaro
chiodo in bocca senza braccia
né protezione.

Dentro una tisana
e caramelle alla menta
dalle mani di una nonna bambina
scorgevo celesti lineamenti
e carezze alla camomilla
per disegnare vestiti d'affetto
alla luce di un camino
che della neve temeva
nella solitudine il biancore.
Avrei voluto l'attesa morire
nell'abbraccio,
avrei voluto raccontare le tue parole,
avrei voluto le tue parole
sempre chiuse nell'attesa
di un silenzio mai destato.

Vincenza Fava



martedì 9 ottobre 2012

Nel sottosuolo dell'inverno

Resto sola nella voce della notte, mi nutrono carezze di musiche. Ogni nota è fiore della tua bocca,
è un cuscino di addormentati sapori. Saprò concedere letizia alle ore del futuro, quando suonerà una danza da cantare con suono perfetto laddove perfezione è morte e rinascita all'altrove? Saprò contare sulle dita del giorno le parole addolcite dallo sguardo, quando la luna cadrà nel pozzo dei desideri e bacerà le tue sospirate mani nell'autunno del tempo? E' la fretta del percorso che annulla il traguardo, è la pazienza del tempo che fortifica l'emozione di ritrovarci insieme nella sosta del vento, tra una discesa ed una salita a sferzare colpi alla sorte di chi ha solo un cuore per parlare ed una voce per sognare. Vieni vicino ...  qui in questo mondo siamo tutti minuscole stelle ferite dagli astri senza memoria perché non perderemo mai il rosso della passione che riflette la luce di un sole che non brucia, ma riscalda le anime di chi spende la vita nel coraggio di andare avanti senza ferire inutilmente il domani, apprezzando il tenue dondolio del presente che oscilla tra luci ed ombre, nel sottosuolo dell'inverno.

Vincenza Fava
Foto di Stanley Kubrick