Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

mercoledì 4 aprile 2012

E.M. Cioran maestro dei paradossi: dall’elogio del suicidio all’affermazione dell’esistenza

Pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1949 il “Précis de décomposition” ovvero il “Sommario di decomposizione” (Ed. Adelphi, pagg. 229, 15 €) del filosofo, saggista e poeta franco-rumeno E.M.Cioran (1911-1995), può essere considerato come un’altisonante summa filosofica del secolo scorso, un bagaglio inesauribile dell’essenza, ancor oggi contaminante, dell’ultima modernità, nel senso che sarebbe impossibile sviscerare completamente tutto il pensiero del grande filosofo con una sola semplice lettura. Il Sommario è il primo di una lunga serie di libri scritti in lingua francese (Sillogismi dell’amarezza, La tentazione di esistere, Storia e utopia, La caduta nel tempo, Il funesto demiurgo, Squartamento, Esercizi di ammirazione, Confessioni e anatemi): dopo aver lasciato la Romania (senza mai più farvi ritorno) nel 1937 per una borsa di studio a Parigi, Cioran decide anche di scrivere in lingua francese, la quale, secondo lui, era la più adatta a dare espressione e forma ai suoi lucidi, sprezzanti, ironici, sarcastici aforismi.


Il Sommario procede come un diario di piccoli poemi in prosa e racchiude, in uno stile che sposa perfettamente la poesia alla filosofia, il lirismo puro alle alte vette di un pensiero ormai snervato, annichilito e osannato all’onnipresente vuoto disumano della civiltà occidentale. Cioran spinge le parole, le vomita, le articola e le coordina con un ritmo frenetico e languido ad un tempo: disfacimento, decomposizione, decostruzione di ogni senso e certezza acquisite. Tutto si sgretola, viene frantumato il buon senso, dissacrati i valori correnti, le ideologie e i fanatismi nefasti del secolo con una violenza che fa tremare e scuotere la coscienza di ogni uomo: “Idolatri per istinto, noi convertiamo in incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all’improbabile”. E lo scrittore raggiunge efficacemente il suo scopo: scrivere è pugnalare al cuore il lettore, significa cioè stravolgere la sua esistenza, trasportarlo verso una consapevolezza nuda della propria miseria (Pascal). Se ogni essere umano si abbandonasse al prodigioso miracolo dello scetticismo, non esisterebbero più le guerre, le stragi e le terribili apocalissi nello spargimento di sangue (come è successo nelle dittature di stampo nazista o comunista): il dubbio è salvifico, induce alla riflessione, all’uso positivo della ragione sulla forza selvaggia di quell’istinto di potere, germe fatale di ogni ideologia, di ogni assoluto (il primo assoluto di cui dubitare è proprio Dio) che conduce e condurrà l’umanità alla sua completa autodistruzione. Cioran è simile ad un profeta che paradossalmente denuncia sé stesso e la mania di profetare, di parlare e di sentenziare insita nell’uomo: "In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si risveglia c’è un po’ più di male nel mondo … La mania di predicare è così radicata in noi che emerge da profondità ignote all’istinto di conservazione. Ognuno attende il suo momento per proporre qualcosa: qualsiasi cosa. Ha una voce e tanto basta. Paghiamo caro il fatto di non essere né sordi né muti ..."
Cioran scrive nel periodo dell’engagement parigino, un impegno sociale che lui evita volontariamente, vivendo una vita provata da ristrettezze economiche e trovandosi agli antipodi di un engagé come Sartre: l’inquietudine della solitudine, la sublimità della malinconia, il pessimismo cosmico (amava profondamente Leopardi), l’anelito mistico sciolto da ogni forma di religione e gli alti voli del lirismo lo collocano su di un piano intellettuale individualistico, non sinistroide, avulso da ogni forma di pensiero ideologico ed assolutista. Il grande pensatore parla di tutto e di tutti, non esclude nulla, ma tutto parte dalla sua forza interiore, dalla volontà e dal coraggio di essere un uomo solo con sé stesso. È affascinato dalla morte: "Perseveriamo nella vita proprio perché essa non si regge su nulla, perché non ha neanche l’ombra di un argomento. La morte è troppo esatta: ha tutte le ragioni dalla sua … A forza di cumulare misteri inconsistenti e di monopolizzare il non senso, la vita ispira più paura della morte: è lei il grande ignoto". Tuttavia da questo elogio ne consegue un paradosso; al lettore attento non sfuggirà l’amore per la vita. E il tema del dolore dell’essere nati, di vivere qui e adesso come se l’uomo dovesse nascere e vivere per espiare una colpa, ricorre spesso (e lo ritroveremo in seguito nella filosofia dell’assurdo, in particolare nelle opere di Samuel Beckett): "Quale peccato hai commesso per nascere, quale colpa per esistere? Il tuo dolore, al pari del tuo destino, è senza motivo". Cioran avanza tenacemente nelle disillusioni fino a toccare il fondo con l’apologia del suicidio: "Poter disporre totalmente di sé stessi e rifiutarsi di farlo: c’è forse dono più misterioso? La consolazione attraverso il suicidio possibile allarga infinitamente lo spazio di questa dimora in cui soffochiamo". Eppure il filosofo, nonostante tutti i suoi momenti di profonda disperazione, portata sempre all’estremo ed oltre ogni apparente ragionevolezza, non si suiciderà mai perché: "Nati in una prigione, con fardelli sulle spalle e sui pensieri non arriveremmo al termine di un solo giorno se la possibilità di farla finita non ci incitasse a ricominciare il giorno dopo …". La possibilità del suicidio ossia la possibilità di essere completamente padroni della propria vita fino alle più estreme conseguenze, è l’unica risposta all’esistenza, la sola ragione per esistere. E chi leggerà il libro con l’intento di giustificare il proprio anelito alla morte, ne uscirà ancor più convinto della vita: la salvezza del paradosso. Il nulla, il vuoto, l’amarezza e la stanchezza del vivere condurranno Cioran, sempre ed inevitabilmente, a continuare il viaggio dell’esistenza. Questa è l’unica morale, il solo sentimento etico della vita: dal nulla risalire al tutto, un tutto che non è l’assoluto tanto deprecato, è invece il misticismo del dubbio che rende dignitoso l’essere umano gettato a sua insaputa nel mondo e nella sua infima miseria.

Vincenza Fava

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