Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

giovedì 26 aprile 2012

Io sarò

 Dicono che sono scostante, dicono che sono fragile e sottomessa. Poi dicono che sono ribelle e incosciente, dicono che non ragiono, dicono che sono un palliativo di essere umano, mi guardano ma non mi vedono, non vedono le mie lacrime versate per dolori urgenti e lacrime d'amore che mi sollevano l'anima, la portano in un altro mondo che mi è familiare perché è lontano dal loro. Così continuo il mio viaggio e mentre parlano io cerco di sorridere e stringere i denti, così come ho sempre fatto. Non piegate la testa per colpire senza sentire, alzatela e guardatemi negli occhi: hanno il tremore delle stelle quando il cielo è sereno e scolpisce nuvole di angeli che volano a stormi nei sentieri della mia verità. Non sprecate parole vuote, hanno la sordità di un'eco che impazzisce nelle viscere dell'orgoglio. Io sarò finché vivrò e così non potrò rimpiangere nulla di ciò che non ho avuto, potrò solo deliziarmi, offrendo la mia poesia in pasto a chi è ubriaco del mio amore.

Vincenza Fava


martedì 24 aprile 2012

Ponti verso il cielo

Il tempo ha compiuto un viaggio sciogliendo briglie di libertà. Assaporo la velocità dell'intesa costruendo templi di memorie. Così prego l'ascesa ad un nuovo paradiso che guida il mio cammino condividendo gioie e dolori in seno all'amor mio che di notte veglia sul mio cuore e il giorno costruisce ponti verso il cielo.

Vincenza Fava


giovedì 19 aprile 2012

La libertà è un gatto randagio

 Avevo un gatto randagio che faceva le fusa a venti metri di distanza, non lo costringevo ad avvicinarsi, ma l'aria della mia tranquillità lo spingeva a restare. La libertà è un gatto randagio, ama anche da lontano, ama la presenza e la costanza, ama il diluvio del cielo e la calura del sole, ama sonnecchiare sui rami di tiglio e non chiede mai perdono dei suoi confini. Così cancellavo i graffi dell'abbandono e guarivo dagli apostrofi incuranti. Avevo un marchio, era sbiadito con la pioggia, ma i chiaroscuri del tramonto lo rendevano visibile al mondo. La luce lontana del faro continuava a volteggiare nella notte e sospendeva il richiamo della civetta. Avevo bisogno di uno specchio, di un mare senza zattere per approdare all'isola per cullare il martirio del cuore. Il dono era la felicità che vibrava nell'atarassia del presente. Il dono era scoprire di essere innocenti anche quando si era colpevoli. Il dono era perdonare per amare nell'assoluto silenzio di parole deserte e colme di pace. Avevo un gatto randagio, di giorno sonnecchiava, la notte mi proteggeva dalle catene e mi donava la vista illuminata di chi sognava ancora, perdendosi nei labirinti delle stelle.

Vincenza Fava


lunedì 16 aprile 2012

I graffi della luna

http://www.literary.it/dati/literary/f/fava_vincenza/i_graffi_della_luna.html

E attendo

E attendo il giorno in cui la pace accolga le anime di ambulanti disperati, attendo l'abbraccio della consolazione che rende merito agli afflitti e ai geniali scortesi di questo mondo perché sappiano resuscitare i cuori dei non vedenti. E là dove c'è luce, c'è calore e lo specchio dell'altro che ci riflette. Con amore e rispetto per chi teme ancora la luce ...

Vincenza Fava 

 

mercoledì 11 aprile 2012

Da qualche parte

 



Da qualche parte
lasciai una valigia
restò lì ferma,
immobile al pensiero.
Condivisi ruote d'acciaio
volando sul filo di memorie
senza Tempo.
Da qualche parte
mi arresi al sogno,
da qualche parte
partii
per il mondo.
Da qualche parte,
ovunque sia,
ovunque e sempre
in attesa del mio viaggio.

Vincenza Fava
 

Little wing

In your little wing, il sorriso cresce
In your little wing, nulla è perduto.
Quando tutto non avrà più un nome
tutto avrà un senso
e l'eco del giorno
riempirà la notte.
In your little wing,
canta la rosa,
ha petali rossi
per abitare
il tramonto
e soffiare su albe
azzurre di speranza.

Vincenza Fava




martedì 10 aprile 2012

Hysteria

Hysteria plays my genius
never forget my blood,

è il grido che scompone il Verbo.
Dannata, osannata, sconsacrata
reclamo, ritiro, osservo e sputo
su queste scarpe camuffate in pantofole.
Del dominio scompongo
sillabe d'indignazione divertita.

Hysteria plays my genius
never forget my blood,

il sarcasmo offende
la leggerezza addolcisce.
Ho balconi senza fiori
da gettare in pasto ai leoni.
Non storditemi col lamento
ho deserti da regalare
a chi l'infamia idolatra.

Hysteria plays my genius
never forget my blood,

una vertebra squassata
dipinge la discesa
di secca risacca
senza mare da cullare.
Il cielo non ha più occhi
per piangere.


Hysteria plays my genius
never forget my blood,

grembo fraudolento
il martirio del dono indesiderato.
Non sono a tua 
immagine e somiglianza.
Uccidimi nel vomito
di deludenti vendette.
Purificami dall'utero
senza pace e senza amore.


Hysteria plays my genius
never forget my blood.


Vincenza Fava









Me and my hysterical hair ;-)

lunedì 9 aprile 2012

Big Bang

Big Bang, perfetto grido.
Ho centrato l'annullamento
della creazione.
Parole distratte ...
ecco l'assuefazione
al delirio del mondo.
Ho creduto nel tuono
di mesti temporali
mentre celebravo
l'alleluja del domani
inserendo bottiglie di pace,
scannerizzando volti
d'ambasciate lontane.
Sotto l'occhio vigile
nulla compenetra
l'indecenza della paura,
nulla scalfisce l'espansione
di target ambigui
dove codici alfanumerici
avanzano in cervellotiche scatole.
Avanzo ipotesi,
comprimo pensieri,
espando sentimenti.
Mi rese cieca
la tolleranza
in veste
di minacciose
sottomissioni.
M'illuminò
il tuo nome
che rese grazia
al mio amore.
Big Bang, perfetto grido.
Ho centrato il divenire
della creazione.

Vincenza Fava

domenica 8 aprile 2012

Le parentesi dell’esistenza tra il nulla e l’infinito

http://www.literary.it/dati/literary/f/fava_vincenza/tra_parentesi_aforismi.html

Come sono messe le lampade

http://www.literary.it/dati/literary/f/fava_vincenza/come_sono_messe_le_lampade.html

C'è qualcosa nel dolore degli altri

http://www.literary.it/dati/literary/f/fava_vincenza/ce_qualcosa_nel_d.html

L'amore sta al cielo come le stelle all'universo

Della Pasqua conosco il tepore del risveglio e di quel piccolo canto che salva il cielo dai temporali. Non ho avuto mai una grande fede, sono agnostica di sangue e cervello, ma il cuore mi ha sempre suggerito la strada da seguire. Della Pasqua conosco l'affetto di energie positive che gli incroci delle vie intraprese mi hanno permesso di avvicinare. Escludo l'onnipotenza del dovere, includo la verticalità dell'amore e del perdono quali diritti essenziali all'umana esistenza per poter inglobare il significato autentico della vita. Escludo le ipocrisie del falso o malato amore, includo le verità del sentimento e dell'umiltà che non è abbassarsi continuamente e senza resa al volere dell'altro, al suo egotismo o volontà di potenza, ma è accettazione del vicendevole rispetto, della condivisione emancipata dall'imposizione. La durezza delle parole a volte è sintomo di presa di posizione, è osannare la libertà di pensiero quando è inascoltato o deriso. Le colpe retroattive hanno un peso, il perdono lo ha un altro. Perdonare sì, ma non rinnegare la propria personalità nel momento in cui si decide di non fare del male, ma solo aiutare l'altro a comprendere i reciproci errori. Che la Pasqua sia solo un preludio alla dissolvenza degli atti di potere e un modo per poter ritornare al vicendevole ascolto. La quarta dimensione ci attende: l'amore è immenso e sta al cielo come le stelle all'universo. Pace e gioia a tutti,

Vincenza Fava

mercoledì 4 aprile 2012

E.M. Cioran maestro dei paradossi: dall’elogio del suicidio all’affermazione dell’esistenza

Pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1949 il “Précis de décomposition” ovvero il “Sommario di decomposizione” (Ed. Adelphi, pagg. 229, 15 €) del filosofo, saggista e poeta franco-rumeno E.M.Cioran (1911-1995), può essere considerato come un’altisonante summa filosofica del secolo scorso, un bagaglio inesauribile dell’essenza, ancor oggi contaminante, dell’ultima modernità, nel senso che sarebbe impossibile sviscerare completamente tutto il pensiero del grande filosofo con una sola semplice lettura. Il Sommario è il primo di una lunga serie di libri scritti in lingua francese (Sillogismi dell’amarezza, La tentazione di esistere, Storia e utopia, La caduta nel tempo, Il funesto demiurgo, Squartamento, Esercizi di ammirazione, Confessioni e anatemi): dopo aver lasciato la Romania (senza mai più farvi ritorno) nel 1937 per una borsa di studio a Parigi, Cioran decide anche di scrivere in lingua francese, la quale, secondo lui, era la più adatta a dare espressione e forma ai suoi lucidi, sprezzanti, ironici, sarcastici aforismi.


Il Sommario procede come un diario di piccoli poemi in prosa e racchiude, in uno stile che sposa perfettamente la poesia alla filosofia, il lirismo puro alle alte vette di un pensiero ormai snervato, annichilito e osannato all’onnipresente vuoto disumano della civiltà occidentale. Cioran spinge le parole, le vomita, le articola e le coordina con un ritmo frenetico e languido ad un tempo: disfacimento, decomposizione, decostruzione di ogni senso e certezza acquisite. Tutto si sgretola, viene frantumato il buon senso, dissacrati i valori correnti, le ideologie e i fanatismi nefasti del secolo con una violenza che fa tremare e scuotere la coscienza di ogni uomo: “Idolatri per istinto, noi convertiamo in incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all’improbabile”. E lo scrittore raggiunge efficacemente il suo scopo: scrivere è pugnalare al cuore il lettore, significa cioè stravolgere la sua esistenza, trasportarlo verso una consapevolezza nuda della propria miseria (Pascal). Se ogni essere umano si abbandonasse al prodigioso miracolo dello scetticismo, non esisterebbero più le guerre, le stragi e le terribili apocalissi nello spargimento di sangue (come è successo nelle dittature di stampo nazista o comunista): il dubbio è salvifico, induce alla riflessione, all’uso positivo della ragione sulla forza selvaggia di quell’istinto di potere, germe fatale di ogni ideologia, di ogni assoluto (il primo assoluto di cui dubitare è proprio Dio) che conduce e condurrà l’umanità alla sua completa autodistruzione. Cioran è simile ad un profeta che paradossalmente denuncia sé stesso e la mania di profetare, di parlare e di sentenziare insita nell’uomo: "In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si risveglia c’è un po’ più di male nel mondo … La mania di predicare è così radicata in noi che emerge da profondità ignote all’istinto di conservazione. Ognuno attende il suo momento per proporre qualcosa: qualsiasi cosa. Ha una voce e tanto basta. Paghiamo caro il fatto di non essere né sordi né muti ..."
Cioran scrive nel periodo dell’engagement parigino, un impegno sociale che lui evita volontariamente, vivendo una vita provata da ristrettezze economiche e trovandosi agli antipodi di un engagé come Sartre: l’inquietudine della solitudine, la sublimità della malinconia, il pessimismo cosmico (amava profondamente Leopardi), l’anelito mistico sciolto da ogni forma di religione e gli alti voli del lirismo lo collocano su di un piano intellettuale individualistico, non sinistroide, avulso da ogni forma di pensiero ideologico ed assolutista. Il grande pensatore parla di tutto e di tutti, non esclude nulla, ma tutto parte dalla sua forza interiore, dalla volontà e dal coraggio di essere un uomo solo con sé stesso. È affascinato dalla morte: "Perseveriamo nella vita proprio perché essa non si regge su nulla, perché non ha neanche l’ombra di un argomento. La morte è troppo esatta: ha tutte le ragioni dalla sua … A forza di cumulare misteri inconsistenti e di monopolizzare il non senso, la vita ispira più paura della morte: è lei il grande ignoto". Tuttavia da questo elogio ne consegue un paradosso; al lettore attento non sfuggirà l’amore per la vita. E il tema del dolore dell’essere nati, di vivere qui e adesso come se l’uomo dovesse nascere e vivere per espiare una colpa, ricorre spesso (e lo ritroveremo in seguito nella filosofia dell’assurdo, in particolare nelle opere di Samuel Beckett): "Quale peccato hai commesso per nascere, quale colpa per esistere? Il tuo dolore, al pari del tuo destino, è senza motivo". Cioran avanza tenacemente nelle disillusioni fino a toccare il fondo con l’apologia del suicidio: "Poter disporre totalmente di sé stessi e rifiutarsi di farlo: c’è forse dono più misterioso? La consolazione attraverso il suicidio possibile allarga infinitamente lo spazio di questa dimora in cui soffochiamo". Eppure il filosofo, nonostante tutti i suoi momenti di profonda disperazione, portata sempre all’estremo ed oltre ogni apparente ragionevolezza, non si suiciderà mai perché: "Nati in una prigione, con fardelli sulle spalle e sui pensieri non arriveremmo al termine di un solo giorno se la possibilità di farla finita non ci incitasse a ricominciare il giorno dopo …". La possibilità del suicidio ossia la possibilità di essere completamente padroni della propria vita fino alle più estreme conseguenze, è l’unica risposta all’esistenza, la sola ragione per esistere. E chi leggerà il libro con l’intento di giustificare il proprio anelito alla morte, ne uscirà ancor più convinto della vita: la salvezza del paradosso. Il nulla, il vuoto, l’amarezza e la stanchezza del vivere condurranno Cioran, sempre ed inevitabilmente, a continuare il viaggio dell’esistenza. Questa è l’unica morale, il solo sentimento etico della vita: dal nulla risalire al tutto, un tutto che non è l’assoluto tanto deprecato, è invece il misticismo del dubbio che rende dignitoso l’essere umano gettato a sua insaputa nel mondo e nella sua infima miseria.

Vincenza Fava

martedì 3 aprile 2012

Lassù qualcuno ci ama

Lassù qualcuno ci ama. Così meditava al mattino, quando al risveglio le uniche sollecitudini all'azione provenivano dai canti gioiosi di uccelli frenetici, innamorati della primavera. In quel cerchio romantico, la stagione della rinascita concludeva le metamorfosi del suo cuore che ascoltava, senza tormento, l'inno alla vita. L'inverno  era ormai alle spalle, il gelo si era disciolto, i nevai si erano incuriositi al sole e scendevano senza difese a valle per nutrire le falde di una terra arida che dall'odio impietrita, cercava l'approvazione del vivificante cambiamento. Lassù qualcuno ci ama, pensava. Era semplicemente una constatazione che dalla realtà delle cose prendeva spunto per ritornare, senza sosta, al diluvio innocente del sentimento. Non importava cosa fosse stato necessario per capire, ora tutto era lì, di fronte ai suoi occhi arresi al destino di una vita che del dolore si era fatta carico, ma che, per battiti di cuore, si era illuminata di una luce senza pari. Lassù qualcuno ci ama. Solo questo riusciva a ripetersi perché ormai era evidente che l'amore non poteva essere compreso da tutti: solo chi fosse riuscito ad abbracciare il movimento celeste di impalpabili energie, avrebbe potuto comprendere l'estasi della gioia che dall'amore trae forza, evitando cadute ingloriose nel fango dell'indecenza di chi non vede più in là del palmo del proprio naso.

Vincenza Fava

lunedì 2 aprile 2012

Arcobaleni senza dimore

Ogni tuo sorriso è perla di arcobaleni senza dimore. Ogni arresa alla felicità è dono di un'arte senza precedenti, l'arte di amare sfumando sentenze e annunciando la vittoria della poesia sull'aridità delle parole, quelle che appassiscono e non rendono omaggio alla vitalità di quell'evento che emerge dal nulla e resta nell'eterno: l'evento della vita assimilata all'amore che di desiderio si sfama, ma non si contraddice nell'elargire carezze di spirito, quando l'alba soffia sul tramonto e il mare è altalena di profumi senza perdizione. Approdo all'estasi del coraggio e all'annullamento dell'ipocrisia quando mi guardi e dici che tutto non ha fine e scorre eterno nell'energia del sentimento. Ti cercavo nei sogni, non ti trovavo, ti ho cercato nelle parole della tua anima e finalmente ti ho trovato. C'eri prima di me, c'ero dopo di te, eravamo entrambi senza incroci, siamo ora sulla stessa strada e tutto, proprio tutto è servito: la falsa gioia, l'amore superficiale, l'amore ingannevole, l'amore che distrugge, l'amore senza salvezza e quello che sconfina nel dolore senza motivo apparente se non la consapevolezza di non aver avuto la possibilità del vero incontro, quello che fortifica e ci rende l'esistenza meno fragile, più solida ed ancorata alla stabilità, alla chiarezza e all'autonomia. Profumerai della mia estate e in fondo agli occhi ti lascerò il mio sorriso perché sia gioia la tua pazienza e amore eterno le nostre promesse ...

Vincenza Fava