Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

domenica 23 ottobre 2011

Dentro lo specchio

Sara aveva un desiderio che voleva assolutamente veder esaudito. Da tempo fantasticava sulla strana eventualità di diventare invisibile: le sarebbe piaciuto enormemente andare per esempio a casa di sua madre e suo padre e sentire i loro discorsi, certo ormai li sapeva a memoria, ma in sua assenza si sarebbero lasciati sfuggire dettagli e particolari a lei finora ignoti, così almeno pensava dentro di sé. E quel tarlo la divorava ogni giorno, ogni notte, soprattutto nei momenti di pausa, quando l’ozio e la negligenza prendevano avidamente possesso delle membra e di ogni più piccola nervatura del corpo. Il caldo insopportabile non l’aiutava certo a riprendersi dal dormiveglia continuo in cui divano e letto erano i migliori sostenitori dell’amata indolenza. Lei si crogiolava nella presunta patologia, ci si gongolava beatamente, tanto che ormai la “malattia” aveva assunto un ruolo troppo importante nella sua vita, fino a sostituirla completamente. Così l’invisibilità rappresentava il punto di arrivo di un percorso faticoso che la conduceva in uno stato di beatitudine fuori del normale, un energico sprofondare nella culla del nulla, la possibilità di scomparire e al tempo stesso di essere presente come un fantasma solitario in cerca di pace. L’ostacolo principale era però la sua mente sempre in bilico tra il dover essere e l’essere, tra l’accedere e il ritirarsi, tra una scommessa e un pentimento, tra l’ombra e la luce, tra lo stringere e il lasciare, tenere duro e abbandonarsi. Ma, anche la mente poi cedeva all’indolenza, dopo una lotta all’ultimo sangue contro sé stessa, cedeva …. e come se cedeva. Sara si scrutava poi allo specchio, ma non vedeva nulla, solo un’immagine riflessa, non poteva essere lì il suo benedetto corpo, non poteva restare bloccato in un oggetto. Di qui il pensiero che la materia potesse riflettere pur sempre l’esistenza. Ma fu in un giorno qualunque che scoprì la sua verità. Decise di andare lungo il corso di un fiume (un tempo lo aveva desiderato quale ultima meta per cancellare le proprie sofferenze) e vi si specchiò, cercando di afferrare un minimo movimento di essenza nelle piccole vibrazioni dell’acqua. Ricordandosi del mito di Narciso, rifletteva sul rimando ai propri occhi della sua immagine e non si beatificava come un tempo, no, ormai aveva compiuto il grande passo del dolore nella separazione del sé perché vedeva l’Altro in quella immagine. Aveva riparato con la sofferenza l’antica ferita del primario tradimento della madre, ricucendo con fili di sangue la propria sembianza frantumata. Così la precoce lacerazione, un tempo allontanata con l’insicuro ed inefficace, egoistico ed infruttuoso amore per sé, l’aveva condotta ad un ulteriore passo per la comprensione della propria coscienza, al di là dei consueti schemi mentali di vita quotidiana. L’indolenza era solo uno strumento per non cedere al dolore e uno stratagemma per evitare di affrontare la vita. Era bastato specchiarsi e in un giorno di caldo asfissiante aveva scoperto che cosa aveva provocato tanto dolore e quale era il giusto rimedio per sanarlo. Amare e confrontarsi senza aver paura di perdersi e di soffrire, fidarsi ciecamente delle proprie capacità e dell’amore degli altri. Solo questo niente altro…. Sembrava una scoperta di poco valore, ma in realtà era la rivelazione che le apriva gli occhi sull’intero universo e l’unico modo per creare il proprio destino individuale.
Vincenza Fava

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