Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

giovedì 13 ottobre 2011

E Emma ancora non lo sa

Emma esce di casa, quell’insopportabile silenzio le ha frantumato le orecchie. Esce di casa per non ascoltare la sua coscienza. Esce di casa, con le poesie scritte col sangue tra le mani, per trovare un diversivo, per parlare con qualcuno che capisca la sua incontrollabile intolleranza alla vita quotidiana. Compra dei fiori al mercato, colorati al punto giusto e densamente profumati , mentre con uno sguardo disegna nel cielo le nuvole del suo paesaggio. Non cerca Dio, no, Dio può fare a meno di lei. Alla prossima fermata forse farà capolino, ma non è ancora il momento. Si guarda intorno, gli occhi della gente sono vuoti, non parlano, tacitamente si chiudono sui suoi. Cerca una casa, un nascondiglio dove annegare il suo dolore, per metterci una pietra sopra e continuare a sperare. Le poesie intanto ammuffiscono, perdono la tinta, vanno ritoccate. Ha un appuntamento col signore grassoccio e sudicio che le ha promesso una pubblicazione, unica ingenua speranza di poter vedere scritto il proprio nome a caratteri cubitali su un libricino che resterà chiuso alla vista dell’onnipotente pubblico, padrone indiscusso della fama. Ma lei ancora non lo sa, il peggio dovrà ancora arrivare. Nel portafoglio l’assegno per vendere alla carta la sua anima. Si affretta sulla strada. Comincia a piovere e forse l’acqua potrà spazzare via l’immondizia del mondo, compresa la sua ombra, troppo vicina, troppo soffocante. Il signore è già seduto al tavolo del bar con un sigaro in bocca. Il maleodore di quel corpo non curato le dà la nausea. Poche parole, l’importante è firmare l’assegno. Affrettati, basta poco. Sei vicina alla meta. Detto, fatto. Tra un mese sarai soddisfatta. Emma confonde ancora la sua vita con la vita degli altri, dà troppa importanza al giudizio e alle false aspettative di chi pensa solo a sé. Vuole appartenere al mondo, lei, non sapendo quanto è meschino il mondo in cui si riflettono le sue stupide speranze. Speranza di essere amata, speranza di essere capita, speranza di comunicare la propria essenza. Ma cos’è, dov’è questa essenza se si perde continuamente il significato di ciò che stiamo facendo? Emma ancora non lo sa ma è vicina al baratro. La poesia diventerà merce, la poesia così morirà. Non esiste un modo indolore per cambiare il destino, non esiste la possibilità di riscattare l’esistenza. E se incontri sulla tua strada un cinico personaggio che cerca la propria soddisfazione recandoti l’illusione di offrirti una fatua compassione, non puoi trovare la tua redenzione. Emma ancora non lo sa e cammina felice questa volta di tornare a casa con il futuro in tasca, alleggerita di qualche migliaia di euro. Tanto a cosa servono i soldi se non a darti la felicità? Ogni cosa ha un prezzo, tranne ovviamente l’amore. Ma è qui il punto dolente, qui l’errore più grande. Lo saprà dopo un anno, quando vedrà marcire i suoi libri ancora freschi di pubblicazione dentro gli scatoloni della sua polverosa soffitta e dovranno passare ancora molti anni fino a quando una lama ben affilata trapasserà il suo debole costato. Ora Emma non scrive più, la sua vita è appesa alle ombre della sua solitudine, non capisce l’errore. E allora si dispera, non capisce l’errore che è stato quello di innamorarsi della propria immagine riflessa nello sguardo gelido di colui che ha giocato con la sua anima, triturandola e masticandola insieme alle sue poesie, per poi sputarla come orrido pasto a bruti morenti.

Vincenza Fava

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