Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

sabato 21 giugno 2014

Terra

Ci sono pagine che non dovrebbero essere mai scritte perché fai violenza a quel bianco, a volte inutile, a volte necessario, che cerchi di proteggere. Eppure sei costretta a guardar dritto nel pensiero, lanciare un missile nel serbatoio della memoria e schizzarlo a tutta velocità con l'inchiostro, nonostante qualcuno ti critichi, nonostante qualcuno ti ricordi continuamente che sei nata per la Terra. Tuttavia, mi accorgo quasi subito di aver commesso un errore a mettere la maiuscola, perché in realtà (in certi casi divento tardiva per legittima difesa) quello che intendeva dire era la terra, quella bassa, quella apparentemente minuscola, quella orizzontale, quella che ti trascina giù con la schiena e ti strappa gocce di sudore. Troppa fantasia, troppo narcisismo, troppo egocentrismo pensare alla grande Madre Terra da cui pensavo di provenire. No. Mi fermo e guardo in basso. E' vero. Confermo. Provengo proprio da lì, dall'humus, dal concime naturale, dalle foglie marcite, dalle radici inzuppate, dai fossi naturali che scavano corridoi nascosti alla luce, dall'argilla manipolata maestosamente da mani etrusche e mi vien voglia di tornarci senza alzare mai più lo sguardo. Così m'immagino: sdraiata, riversa, volto coperto dai capelli, con il cordone ombelicale che raggiunge il centro della terra. Poi ci credi davvero che non puoi più guardare il cielo, si fa troppa fatica, è troppo lontano. Da tempo hai smesso di scrivere lettere d'amore, da tempo sai che bisogna ridersi in faccia, guardarsi e ridersi. Da tempo sai che non sei nata sotto una buona stella e ogni cosa che hai fatto è perduta, anche l'ultima stretta di mano, anche l'ultimo bacio. Continui a dar la caccia alle streghe sul foglio bianco, smaniosa di incontrarti, capro espiatorio di te stessa. Poi ti indigni se ti confondono col mondo intero e il mondo intero ti confonde con nessuno. Spesso pensi che ogni stanchezza avrà fine su un letto bianco, ma tu vuoi farla finita in un campo innevato. Sei testarda, non la smetti di cercare la rosa rossa sulla neve! Da quando sei nata che te la vedi davanti agli occhi, forse perché sei nata in un'alba buia e fredda di dicembre e tuo padre è uscito di casa quando ha saputo che avrebbe cullato un'altra femmina. Le femmine non sono nate per la terra ma per lussi e merletti e per lui era troppo accettare. Forse quella mattina quando se ne è andato a lavorare invece di darti il bacio della sacra accoglienza, ha espresso un desiderio e ti ha voluta legare per sempre alla sua terra impedendoti di raggiungere il cielo. No, proprio non ti garba guardare su, neanche le stelle, nemmeno il sole, forse non ci sono mai stati, non sono mai esistiti. Solo quel giorno, quando sei uscita dall'ospedale e sbagliando ascensore sei arrivata alla camera mortuaria. Hai dovuto attraversare la morte e hai rivisto la luce. Hai messo gli occhiali da sole, troppa grazia di Dio in un tempo così piccolo, non ci eri abituata. E per la prima volta hai dovuto ringraziare il cielo di poter tornare alla terra a raccogliere i fiori.

Vincenza Fava

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