Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

giovedì 12 gennaio 2012

Corpo

Si guardava spesso allo specchio: il suo corpo aveva solo quattordici anni, ma la mente già correva al domani, quando avrebbe preso di petto la vita, quando avrebbe trovato qualcuno che, osservandola con desiderio, l'avrebbe portata via da quella piccola stanza, in cui non mancava nulla, ma era diventata ormai il luogo privilegiato dell'amore egoistico. Si vestiva con amore, sempre guardandosi, osservando le curve del corpo acerbo ma già adulto. Risaltavano agli occhi i suoi seni, rotondi e delicati, prosperosi e sensuali. Si truccava, ammiccando allo specchio, provando a sbattere gli occhi pieni di rimmel, agitando la bocca rossa a cuore, per vedere come sarebbero state le sue labbra al primo bacio. E per somigliare alle dive del cinema, cominciava ad ancheggiare mandando baci al suo riflesso. Poi accendeva lo stereo e metteva canzoni da discoteca, musiche anni Ottanta, per mettere in pratica le sue conoscenze ritmiche. Il sabato sera sarebbe andata a ballare e forse avrebbe trovato altri sguardi, oltre al suo, altre conferme del suo essere diventata finalmente una donna. Ma cosa si aspettava dagli occhi altrui? Commenti, apprezzamenti o almeno un saluto umano? In discoteca non esistevano saluti umani, solo ammiccamenti e sguardi vogliosi di ragazzi e uomini che non volevano solo guardare ... e lei aveva paura, tanta paura, ma era più forte la vanità e la ricerca del complimento gratuito. Non c'era fine per questo stato d'animo, era quello che le dava la forza di mostrarsi e poi di ritrarsi immediatamente nel momento in cui ci sarebbe stato un incontro ravvicinato. Non voleva contatti, non voleva parole vere, ma solo apprezzamenti, questo le bastava per restare su un piedistallo e non scendere mai. Così in discoteca arrivava il momento della sua verità: ormai tutti la conoscevano per le sue danze sfrenate. Di solito si formava un bel cerchio (osannando e ricordando una ludica Febbre del sabato sera) e lei lì, al centro dei volti estasiati, unica stella della sala, come un sole che non smette mai di dare luce. Battiti di mani, voci che la incitavano e lei credeva di essere ormai al centro dell'universo ...
Ma con il passare del tempo ed una volta divenuta adulta, avrebbe ricordato con nostalgia e con tenerezza quei momenti di follia spensierata che non sarebbero tornati più, lasciando spazio alla ricerca dei suoi tormenti esistenziali che avrebbero trovato sfogo nelle parole. E allora, la danza del corpo sarebbe diventata la danza del linguaggio con una consapevolezza in più: lo specchio ormai non rifletteva solo labbra rosse, seni prosperosi e occhi da gatta, ma le dava la certezza dell'esistere al di là del suo sguardo. Ormai il suo corpo aveva i segni del tempo e dell'esperienza, i segni degli altri sguardi e delle parole che non dovevano più sfuggirle, ma restare impresse per sempre come un sigillo nella sua anima.

Vincenza Fava

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