Binari storti

Binari storti
Binari storti (LietoColle, 2015)

lunedì 2 gennaio 2012

Amore e ... film

La sua vita sembrava aver trovato ormai una dolce giustificazione ai capricci, alle noie esistenziali, ai tormenti emotivi che l'avevano resa e fragile e desiderosa di combattere ogni sforzo per trovare un po' di tranquillità e di pace. Non poteva vivere di calma piatta, quella non era certo un'esistenza da lodare: l'aveva sempre visto nei film sin da quando era piccola che la felicità si raggiungeva nell'avventura e nella soluzione (non sempre, purtroppo, era previsto il lieto fine) di un sintomatico conflitto. E il conflitto che più l'attirava nell'eroina (ovviamente l'identificazione nel personaggio femminile era una ovvia conseguenza), era quello dell'interiorità accompagnato dal dilemma della scelta. Di qui l'errore, la consapevolezza dello sbaglio e infine la gioiosa redenzione nel recuperare uno stato di felicità sporcato dall'insicurezza e dalla paura. E quale tema più caro ad una ragazzina di 12 anni se non l'amore? Ah sì, quella grande parola, usata, ripetuta, rimaneggiata, coronata di baci appassionati e mai smentita dagli occhi  di Lei persi in quelli di Lui. Ma a lei non piacevano i film d'amore semplici e lineari, scontati e senza sofferenza, preferiva quelli romantici e controversi, quelli in cui l'eroina s'innamorava, ma aveva un bel da fare per poter raggiungere il suo sogno, quelli in cui l'ostacolo maggiore non veniva da fuori, da streghe gelose e maligne, ma da dentro, dall'incapacità di accettare la felicità e goderne senza pregiudizi. Dalla paura di essere imprigionata in un sentimento troppo grande che la portasse lontano da sé stessa e dalle sue malinconie. Era la paura di appartenere completamente a qualcuno che la disarmava e che poteva farle notare la sua bellezza, una bellezza interiore che doveva restare nascosta o perlomeno solo sfiorata. Voleva appartenere solo a sé stessa, questa era la verità, temeva di perdere la libertà di sentirsi sola e incompresa, voleva restare un essere selvaggio che non conosceva regole se non la propria unica volontà, senza rendere conto a nessuno dei suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue smanie di vita. Eppure, in una piccola parte del suo cuore, desiderava che qualcuno la convincesse e le dimostrasse il contrario, che era bello appartenere e darsi a qualcuno, perdere quella sorta di simulacro di libertà per ritrovare invece una libertà più grande nella realizzazione di un amore senza fine, quell'amore eterno che cercava, ma che al tempo stesso, aveva paura di trovare. Perché, in fondo, lo sapeva bene che perdersi in un'altra persona, non era uccidere la propria individualità, anzi era il contrario, era fondere la propria personalità con quella dell'altro per trovare e dare un senso alla condivisione dei sentimenti. E l'unica parola che le veniva in mente era rischio, pericolo. E allora, dato che odiava la calma piatta (ma in quella calma piatta si sentiva protetta in realtà), si era detta che dal quel momento in poi non avrebbe esitato ad accogliere il rischio tra le sue braccia, questa volta senza remore o conflitti. Vivere era la parola d'ordine, al diavolo le sterili elucubrazioni mentali ...
Vincenza Fava

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